“Le vite dei neri contano”, ma non diventino idolatria dell’illegalità

La giustizia non è nera o bianca, la legge è legge per tutti. Lo ribadisco per stroncare il solito buonismo a senso unico, che in nome dei diritti (di alcuni) sta giustificando, anzi esaltando, i violenti disordini in scena a Minneapolis con lo slogan “le vite dei neri contano” per mano della comunità di colore dopo la morte del 46enne afroamericano George Floyd, rimasto soffocato durante un fermo di polizia. È inaccettabile quanto accaduto: il ginocchio rude del poliziotto premuto sul collo di George Floyd ripreso da un telefonino mentre implora, dopo che era stato fermato sotto effetto di droga mentre cercava di spacciare una banconota contraffatta. Tuttavia occorre rammentare che le manifestazioni di sdegno, sia pure per gravi abusi di potere, riguardano un uomo – nero o bianco non importa – che girava sbronzo e drogato compiendo reati e ribellandosi ai controlli. Questo deve pesare, non solo il fatto che fosse di colore, altrimenti diamo un messaggio distorto e le persone a rischio non finiranno mai di mettersi nei guai.
Sia chiaro, quello che hanno fatto quei poliziotti è da film sulle carceri Usa. Ma il problema è anche come e perché si è arrivati a simile derive.

Lo evoco perché un inasprimento delle forze dell’ordine si sta manifestando anche in Italia sull’onda di una immigrazione incontrollata, che ha fatto aumentare mafie, crimini e caos illegale. E questo è assai inquietante, anche se il nostro sistema speriamo abbia radici democratiche più resistenti. Tuttavia, chi reiteratamente favorisce il disordine sociale, la compagine politica che non calcola mai i rischi degli estremismi salvo fare propaganda anche sulle inevitabili derive, deve sapere che le conseguenze del disordine pubblico sono proprio l’inciviltà e l’ingiustizia. Per questo c’è chi avversa duramente l’immigrazione sui barconi, gli ingressi selvaggi di clandestini o le società confusamente multietniche dedite ai traffici, allo spaccio e alle irregolarità, che trasformano le nostre preziose città e i nostri quartieri in un immenso Bronx. Non sono italiani che odiano e discriminano gli stranieri, sono prevalentemente cittadini che vorrebbero evitare il Far West in cui la polizia diventa lo sceriffo e talvolta l’aguzzino. Il problema non è solo il colore della pelle e la categoria sociale, secondo una letteratura unilaterale. I problemi sono i traffici illegali. Lo abbiamo visto nella impietosa e orribile morte di Stefano Cucchi. Il problema è la droga, non la violenza dei carcerieri del sistema italiano secondo il monumentale caso giuridico politicamente strumentalizzato. Perché chi finisce nel giro della droga, e nei traffici illegali, finisce sempre in zone buie e oscure dove soprusi e violenza sono la regola e scampare a responsabilità e capire poi chi sono i carnefici è quasi impossibile.

Perché Stefano Cucchi o George Floyd sono stati finiti a quel modo? Sapremo mai la verità e cosa c’è effettivamente dietro? Dobbiamo dirlo questo. Altrimenti diamo un messaggio sbagliato ai giovani che assistono alla consacrazione mitologica di idoli sbagliati. I martiri delle polizie, delle violenze, delle torture sono altri. Il Vangelo insegna che sono gli ultimi, gli innocenti, i puri, i miti, i guerrieri dell’amore e non gli sballati, i trafficanti e gli spacciatori, anche se nessuna violenza è mai giustificata. Ma senza una cultura della compassione, del riscatto, del pentimento e del perdono non c’è salvezza. Senza questa catarsi c’è solo deteriore buonismo. Se aboliamo questi fondamentali principi della morale, o se li facciamo discendere dalle culture di parte prive del senso della sacralità della vita, si rischia di favorire un’anarchia in cui di Stefano Cucchi e di George Floyd ce ne saranno numerosi. In questo modo non aiutiamo i deboli e non preveniamo l’inasprimento delle regole se non favoriamo società rette e sane.

Con la forza di assumerli questi valori e il coraggio di affermarli. Proprio giorni fa in una città italiana si è verificato un inquietante episodio di ordine pubblico, in cui alcuni ragazzini hanno sfidato la polizia senza mascherine in luoghi affollati reagendo contro le forze dell’ordine come fossero i ribelli di Hong Kong per un totale di 14 poliziotti schierati e cinque volanti che hanno trascinato via i giovanissimi. Chi politicamente soffia su questi epiloghi ne è responsabile. La violenza dei centri sociali non è mai giustificata. Mahatma Gandhi proclamava la “non violenza” contro la sopraffazione ed è una lezione che va fortemente recuperata. La cultura della resistenza e non la lotta fisica, la misura della civiltà e non il suo contrario sono gli strumenti della sfida dei liberi. Anche la comunità di colore credo possa fare un passo in avanti dopo la presidenza di Barack Obama. È tempo che gli afroamericani assumano la gravità del crimine e l’illegalità come male sociale e danno a se stessi, non solo come giustificazione della discriminazione.

Aggiornato il 29 maggio 2020 alle ore 13:00