Libia: il pericoloso condominio russo-turco

martedì 30 giugno 2020


In Libia si sta osservando, come fosse un esperimento sociologico, la dinamica della catastrofe incontrollata di un Paese, nel quale una guerra civile, causata a livelli extranazionali, si è trasformata in una guerra internazionale.

Al momento le più grandi potenze planetarie sono impegnate ad osservare ed agire in questa strategica regione dell’Africa nord orientale confinante con i perimetri europei. Il presidente tunisino Kaïs Saïed, in una intervista del 23 giugno ha ribadito la convinzione che la “questione libica” dovrebbe interessare i libici, ma ha anche espresso la forte preoccupazione che gli interessi internazionali stanno affogando le speranze ed i desideri dei libici nel mare delle proprie opportunità e convenienze. La Tunisia, che ho in precedenza definito “la sentinella d’Europa”, in questa fase è molto vicino alla Francia, soprattutto in funzione del forte cambiamento che Saïed ha promesso durante la sua campagna elettorale, ed anche perché la Tunisia di oggi è molto diversa sia da quella del 1956, che da quella del 2011 (Primavera Araba). Il punto di svolta della questione libica, dopo anni di tragico stallo nel quale i libici hanno sempre più spesso manifestato rimpianti per Gheddafi, come gli iracheni per Saddam Hussein, l’ingresso dei mercenari filorussi Wagner ha determinato, oltre che un potenziamento delle forze cirenaiche di Khalifa Haftar (Anl) anche l’entrata in scena della Russia; cosi come l’uccisione di una trentina di Wagner avvenuta circa venti giorni fa vicino a Tripoli, per mano turca, ha determinato il peso effettivo della Turchia, con i suoi mercenari siriani filo turchi detti “cani da guerra” in appoggio all’esercito Gna di Tripoli, nel teatro libico. Il presidente tunisino Kaïs Saïed ha detto che la Tunisia sta pagando un caro prezzo a causa della infinita guerra in Libia, anche politicamente sta subendo gli antagonismi esistenti tra la Tripolitania e la Cirenaica; molti politici sono schierati con Haftar, come altri con Fayez al-Sarraj, determinando una spaccatura decisamente grave e non utile alla già complicata situazione politica interna.

Nel panorama della politica libica spesso si sottovaluta la posizione dei capi tribù che controllano l’altra regione della Libia, il Fezzan; la Lega Araba ha insistito sulla necessità di coinvolgere le tribù del Fezzan nel contribuire a redigere una Costituzione provvisoria che possa legare tutti i libici. Ricordo che nel Fezzan vivono oltre trenta macro tribù che controllano oltre 2000 clan minori e gruppi uniti su basi familiari; queste comunità vivono di traffici di ogni genere, prevalentemente di contrabbando, controllano specifiche rotte di commerci che conducono verso l’Algeria e l’Egitto. In più occasioni questi leader delle macro tribù hanno avuto incontri sia ufficiali che non con i due contendenti, ma generalmente i confronti con Haftar sono sembrati più agevoli, grazie anche alla presenza di Saif al-Islam Gheddafi, figlio di Muammar, vicino ad Haftar, che in più occasioni ha dato prova di possedere leadership tra i libici.

Fare dei parallelismi storico-politici fa cadere spesso nel vortice delle più “originali” discussioni, come quando si parla di “balcanizzazione” come termine geopolitico, riferito alla instabilità di uno Stato che porta alla sua frammentazione socio-politica, ma l’escalation delle interferenze straniere in Libia, l’antagonismo russo-turco che si è manifestato (punta dell’iceberg) soprattutto con una guerra tra una pluralità di gruppi mercenari, è innegabile che avvicina troppo la Libia all’abisso siriano.

La “sirianizzazione” della Libia ha tuttavia caratteristiche generali diverse, il presidente siriano Bachar el-Assad è ancora robustamente in “sella”; gli Alawiti, corrente confessionale del Presidente, sono abbastanza compatti intorno al loro leader, con eccezione della zona martoriata di Idlib e Vladimir Putin non intende prevedere variazioni politiche in Siria. Inoltre l’Iran è assente dallo scenario libico, e con esso la cesura confessionale sunnita-sciita, così anche la questione curda non ha equivalenti in Libia, per non parlare della cancellazione, per ora, della presenza dell’ex Sato islamico. L’estensione territoriale libica è peraltro non paragonabile alla più circoscritta siriana, mentre il potere di Assad, nonostante le sue fragilità, sembra preservare più verticalità rispetto all’autorità evanescente di Tripoli. Aggiungo che il processo di crisi in Libia è stato più lento, forse “meno rumoroso”, più diffuso e progressivo che in Siria.

Come il rumore delle catene di un fantasma si sente il “cigolio” di Sirte; ex ultima roccaforte di Muammar Gheddafi, ex-bastione dell’organizzazione islamica Isis ed ora punto di frattura della contesa tra Haftar e Sarraj, tra Russia e Turchia; un decennio di spasmi riassunti in questa città emblematica, simbolica e fascinosa a tal punto che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, sostenitore di Haftar, ha annunciato, alcuni giorni fa, che qualsiasi attraversamento da parte del Gna di Sarraj della ”linea rossa” che unisce Sirte alla base militare di Djoufra, situata 250 km a sud ovest, scatenerà un intervento diretto dall’esercito egiziano.

Mi viene in mente la ciceroniana frase historia magistra vitae, che forse è disconosciuta, ma nella fattispecie sicuramente soffocata dagli interessi internazionali in Libia: petrolio, terrorismo, immigrati.


di Fabio Marco Fabbri