Anche il Congo ha problemi con la Magistratura

A Kinshasa i sessanta anni di indipendenza del Congo dalla corona belga sono stati celebrati senza troppa enfasi, contrariamente a quanto accaduto in Belgio, ma questi sei decenni di sovranità non da tutti i politici congolesi sono visti con soddisfazione.

La tradizionale cultura africana, congolese in questo caso, è incardinata su basi tribali che includono un complesso panorama animista amalgamato spesso in modo estremamente armonioso, con il monoteismo occidentale, nel quale la fatalità gioca un ruolo determinante. Tuttavia non si legge fatalità nell’affermazione di uno dei più importanti uomini politici congolesi, Moïse Katumbi che afferma: “Non c’è fatalità che ci condanna ad una vita di miseria e di servitù”.

Katumbi, ricco uomo d’affari di 56 anni, patron del TP Mazembe di Lubumbashi, una delle squadre di calcio di maggior successo del continente, è stato governatore del Katanga ed è oggi presidente del partito denominato “Insieme per il Cambiamento”.

Nel maggio 2016 lasciò, per motivi giudiziari, la Repubblica Democratica del Congo, per ritirarsi in Sudafrica, approdando poi in Belgio, ufficialmente per motivi di salute. Vissuto 3 anni in esilio, è stato processato per vendita di “beni non propri” e successivamente accusato di avere ingaggiato mercenari statunitensi, tuttavia ha sempre negato tali diffamazioni. È stato prima alleato, poi oppositore dell’ex presidente Joseph Kabila, fu poi condannato da una Magistratura ritenuta controllata dal potere politico; detta condanna gli ha impedito di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018, sostenendo comunque la candidatura di Martin Fayulu.

La cancellazione della sua condanna nel 2019, fu interpretata come il ritorno dell’indipendenza della magistratura nella Repubblica Democratica del Congo.

Katumbi che ha oggi prospettive politiche per il 2023, analizza la situazione del Congo di questi ultimi sessanta anni proprio a margine delle celebrazioni dell’indipendenza, descrivendo un quadro cupo, per la maggior parte negativo, che è lo specchio degli effetti perversi dell’ambigua e spregiudicata governance dei leader che non sono mai stati all’altezza ne politicamente ne eticamente, di coloro che hanno combattuto per l’indipendenza.

Katumbi ritiene che la maggior parte dei governi che si sono susseguiti si è retta sulla gestione politicizzata degli affari pubblici: clientelismo, corruzione, tribalismo, nepotismo, aggiungendo la mancanza di uno Stato di Diritto ed anche il ruolo corporativistico assunto dalla Magistratura, insomma un quadro tutt’altro che positivo. Katumbi critica ad ampio raggio il sistema economico congolese, palesando la dissipazione e la perdita delle funzionalità delle infrastrutture basilari dello Stato, un sistema di istruzione tenuto volutamente obsoleto, una sanità pubblica degradata, la povertà cronica, la disoccupazione a livelli preoccupanti, una produzione delle piccole e medie attività ai minimi termini, un’economia totalmente involuta ed una pubblica amministrazione elefantiaca e inefficiente oltre che demotivata. Tutto ciò contrasta con le potenzialità oggettive di una nazione con risorse naturali immense.

L’analisi di Moïse Katumbi che ovviamente è anche politica, ricalca la tipologia di difficoltà che si riscontrano in quasi tutto il continente africano, ma assume un livello più internazionale quando fa riferimento alla Magistratura.

Il partito di maggioranza dell’Assemblea Nazionale della Repubblica Democratica del Congo, Fcc (Fronte Comune per il Congo), è accusato da Katumbi di banditismo politico. Tale accusa fa riferimento a più episodi, uno di questi fu quando i rappresentati del Fcc tentarono di cambiare la Costituzione senza la minima condivisione con le minoranze, ma l’ultimo episodio è stato quello di creare le basi normative per il condizionamento legale della Giustizia.

I quattro leader del partito Lamuka, Moïse Katumbi, Martin Fayulu, Adolphe Muzito e Jean-Pierre Bemba, hanno fatto sapere, alcuni giorni fa, ai membri dell’ufficio dell’Assemblea Nazionale, di astenersi dal procedere in quella “operazione banditesca” che permetterebbe la “fagocitazione”‘ della Procura della Repubblica e dei magistrati da parte del Governo, operazione che vide la luce già nel 2011, attraverso la revisione dell’articolo 149 della Costituzione congolese. Sulla linea della logica delle variazioni legislative in programma, il ministro della Giustizia otterrebbe il potere di nominare, su base arbitrale e senza sistemi di controllo, i magistrati in manifesta violazione dell’articolo 82 della Costituzione, questo nonostante la consacrazione costituzionale della separazione dei Poteri.

Secondo il partito Lamuka, le proposte legislative tendono a rendere i Pubblici ministeri dei subalterni commissari governativi della Repubblica, agenti del ministro della Giustizia, in contrasto con l’indipendenza di azione dei membri della magistratura.

Le dichiarazioni ufficiali di Katumbi e dei suoi, sono chiare; la manovra mira a “togliere i poteri ai pubblici ministeri e farli assumere dal partito Fcc (che sceglie il Ministro della Giustizia) al fine di recuperare legalmente le persone rimaste fuori dalle caotiche elezioni del dicembre 2018, coprendo i crimini commessi in 18 anni”.

I quattro leader chiedono quindi ai congolesi “di essere pronti ad agire come nel gennaio 2015 contro la legge sul censimento”, un’azione che ha visto la maggioranza presidenziale desistere prima che il popolo potesse diventare troppo pericoloso.

In conclusione, come già accennato, le problematiche socio-economiche del Congo sono collocabili facilmente nel contesto africano, mentre le problematiche legate ai Poteri dello Stato, vedi l’uso della Magistratura, forse hanno delle affinità che potremmo confrontare anche con realtà “nostrane”.

Aggiornato il 06 luglio 2020 alle ore 12:13