In Senegal tra coronavirus e prostituzione

Il Senegal ha dichiarato lo stato di emergenza da coronavirus il 23 marzo; il Presidente della Repubblica, Macky Sall ha affrontato la cosiddetta pandemia con il supporto del più organizzato e credibile istituto scientifico di ricerca dell’Africa, il Pasteur di Dakar. Oggi in Senegal si contano poco più di settemila contagiati e circa sessanta morti, se si considera che secondo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) il Prodotto Interno Lordo (Pil) nel 2020 dovrebbe crescere del 1,1 per cento rispetto al 5,3 per cento del 2019, il danno economico, come quasi ovunque nel mondo, lo hanno fatto più le costrizioni socio-economiche legate alla prevenzione per il Covid-19, che il Covid-19 come virus.

Il coronavirus da quando si è conclamato è stato analizzato sotto quasi tutti gli aspetti, dando visibilità a chiunque, virologi o pseudo tali, tuttologi e “maghi” vari, e comunque a ognuno che ha avuto le congiunture mediatiche per ottenerla; alcuni aspetti sociali, per vari motivi o casualmente, sono stati trascurati come quello della prostituzione, in Italia per ovvie motivazioni ignorato.

Ciò non sta accadendo in Senegal dove la prostituzione non è vietata alle donne con età superiore a ventuno anni, e dove le meretrici hanno un ruolo riconosciuto e sono organizzate in associazioni che rivendicano i loro diritti e tutelano il loro mestiere.

L’organizzazione senegalese no profit denominata And Soppeku, che nella lingua Wolof parlata in Senegal e Mauritania potremmo tradurre “insieme per il cambiamento di comportamento”, nasce il 18 aprile del 2008 sulla scia delle grandi difficoltà che le prostitute avevano nella gestione, non tanto della loro attività, ma della loro vita familiare ed anche come ausilio e supporto per l’assistenza psicosociale, medica e nutrizionale. Dopo la nascita di And Soppeku le prostitute, prevalentemente di basso profilo culturale, hanno avuto la possibilità di essere rappresentate ed ascoltate nell’ambito di quei servizi socio sanitari che propongono normative al Governo e che grazie “all’ascolto” conquistato, hanno migliorato l’ambito normativo e giuridico per il lavoro sessuale.

In Senegal le prostitute prima della nascita della Associazione, anche se erano legalmente registrate e lavoravano ufficialmente, non osavano manifestarsi pubblicamente e tanto meno palesare le loro necessità negli ambiti decisionali che avevano competenza in merito, Soppeku ha permesso agli operatori della sanità di co-rappresentarle nei contesti legislativi dove hanno potuto negoziare ed ottenere sussidi e regolamenti specifici per la loro attività. L’associazione oggi consta di oltre duecento socie, delle quali quasi un centinaio sono quelle attive, ovviamente sono tutte prostitute; ad esse sono destinati finanziamenti statali, assistenza legale alle vittime di violenza, supporto per quelle che si ammalano, distribuzione di preservativi e lubrificanti maschili e femminili, ausilio per l’assistenza scolastica dei figli, istruzioni sul comportamento più idoneo per la prevenzione delle malattie veneree, iniziative legate all’ambito dei diritti umani, oltre a gruppi di ascolto ed al supporto per la creazione di attività generatrici di reddito.

Anche in Senegal il Covid-19 ha stimolato l’uso di internet, ugualmente nell’ambito della prostituzione, il distanziamento sociale ha obbligato le operatrici del sesso a farsi pubblicità sulle varie pagine social, come Facebook o siti on line dedicati, dove con 15mila franchi Cfa, circa 23 euro a settimana, fanno apparire il loro numero di telefono. Tuttavia risulta che la clientela è passata da una dozzina al giorno a non più di tre. Tale situazione per questa categoria di lavoratrici sta creando gravi difficoltà economiche che si ripercuotono nell’ambito familiare, considerando che i tassi di natalità sono intorno a cinque figli per donna, nel caso delle prostitute sono anche prive del sostegno economico del coniuge.

Inoltre queste modeste stanze di tolleranza prima del Covid erano frequentate dopo mezzanotte, adesso i pochi clienti si presentano tra le 11 e le 21, un orario imposto dal coprifuoco esteso dal 5 giugno alle ore 23. Le ragazze, vista la restrizione negli spostamenti, non possono contare nemmeno sui clienti stranieri che hanno un approccio diverso rispetto agli autoctoni, infatti sono più aperti e generosi. Le norme sanitarie sia stabilite dalle disposizioni che quelle legate al coronavirus, impongono alle ragazze di fare utilizzare la mascherina ed il preservativo, oltre il lavaggio delle mani prima di entrare, anche se risulta, dall’intervista a cui faccio fonte pubblicata localmente, che molti frequentatori hanno difficoltà a respirare nell’atto sessuale, quindi cercano di evitare la mascherina; chiede il giornalista ad una ragazza, come riesce a convincere il cliente a tenere la mascherina? Ella risponde che ha delle armi di seduzione ampie, affermando che: “La mascherina e cosa buona. E che non praticherà per ora ne baci né (altro ndr)”.

Tuttavia dietro a questa realtà che in Senegal è trattata in modo estremamente naturale forse meglio che da noi ante “Merlin”, emerge la volontà di non favorire uno stato di sfruttamento e di illegalità che porta con se violenza morte e un’enorme flusso di denaro che rimarrebbe, se non regolamentato, nei sotterranei dell’evasione.

Proprio l’organizzazione And Soppeku ha suggellato questa “regolarità lavorativa” a tal punto che le ragazze sono orgogliose di mostrare il diploma ricevuto dopo un corso di formazione organizzato da detta associazione; certificato che non esitano a mostrare ai controlli della polizia, e che attesta, insieme al libretto sanitario obbligatorio, l’assoluta regolarità del loro lavoro sessuale.

Non intendendo indugiare su tematiche tediose, ma vista la sufficiente gestione normativa e sanitaria (solo il 0,4% della popolazione ha l’Hiv, Italia 0,3%) che regola questo lavoro in Senegal, dove la popolazione si divide tra Corano e Bibbia (minoritaria), con una piccola percentuale animista, la perplessità sulle motivazioni che vengono addotte da nazioni più emancipate, riferite alla negazione legale della prostituzione, appaiono certamente etiche ma un po’ dogmatiche.

Condividendo le analisi della senatrice Merlin, i principi dei diritti umani e deprecando l’aberrante schiavitù sessuale, va considerato che all’interno della cappa di piombo che avvolge tale aspetto lavorativo nelle nazioni che lo rifiutano, prospera nell’oscurità una degradata moralità, pessime condizioni sanitarie ed un “fatturato” enorme gestito fuori dai margini dello Stato; in Senegal il controllo capillare fronteggia questo degrado, anche se sfugge il controllo sulla immotivata migrazione clandestina verso l’Europa.

Aggiornato il 09 luglio 2020 alle ore 11:06