Il Mali sempre più nel baratro

La capitale del Mali, Bamako, è una città che generalmente garantisce sicurezza dalla dilagante violenza del jihadismo e dalle tensioni intertribali, che diversamente dilaniano il centro nord del Paese, ma venerdì 10 i disordini hanno colpito gravemente, come non accadeva dal 2012, la capitale, causando secondo dati governativi undici morti ed un centinaio di feriti, ma testimonianze dirette affermano un numero di decessi molto più alto. Le agitazioni e le violenze sono iniziate venerdì dopo una tesissima manifestazione, la terza organizzata nell’arco di due mesi dal Movimento del 5 giugno (M5), ma è la prima sotto il segno della disobbedienza civile che ha contagiato molti gruppi ideologici accomunati dall’intolleranza verso il capo dello Stato Ibrahim Boubacar Keïta (Ibk). Il livello di tensione è stato altissimo a tal punto che in molti frangenti ha assunto la dimensione di insurrezione e di guerriglia; la zona di maggiore criticità è stato il distretto di Badalabougou, considerato il fortilizio dell’Imam Mahmoud Dicko, figura fondamentale e carismatica del movimento 5 giugno (M5) e dell’opposizione.

Il Mali è afflitto da una crisi politica endemica, le contestate elezioni di aprile hanno appesantito il disequilibrio interno, inoltre i gruppi jihadisti organizzati fanno capo allo Stato islamico del Grande Sahara, struttura terroristica che si configura come il “burattinaio” del jihadismo saheliano e che insieme alla galassia di gruppi sovversivi di ispirazione “anarcoide-islamica”, controllano zone sempre più vaste del Mali e dell’area dei tre confini, Mali, Burkina Faso e Niger, oltre molte aree del Sahel. Quindi l’instabilità sociale e politica, la povertà, la fame, l’insicurezza, la corruzione conclamata e la sofferenza, non hanno reso la popolazione indifferente ai video privati, lanciati in rete, che ritraggono il robusto Karim Keïta, figlio del presidente Ibrahim Boubacar Keïta, mentre, su uno yacht, balla con delle formose ragazze nude, poi altri video lo mostrano, ovviamente sorridere, mentre si crogiola su una spiaggia ispanica coccolato da avvenenti massaggiatrici. Queste immagini, in un Mali in crisi, hanno creato sconcerto scuotendo la maggior parte della popolazione; Karim a sua difesa ha dichiarato che questa era una festa privata e che “non è costata al contribuente un solo centesimo”. Ma ormai a livello politico il danno è stato fatto; la sua immagine di uomo sorridente e gioioso per gli “svaghi”, campeggia nei manifesti affissi e portati in mostra durante le proteste, accompagnate da parole come “vergogna” e “dimissioni”.

A Bamako la protesta si è trasformata in una rivolta, i manifestanti hanno attaccato prima la sede dell’Assemblea Nazionale, infrangendo le finestre, poi la sede dell’Ortm, lo studio della Radio e Televisione del Mali, considerata la voce del potere. Dall’inizio delle ribellioni, organizzate dalla coalizione di partiti di opposizione M5 in testa, la figura del figlio del Presidente ha catalizzato le maggiori accuse diventando la punta dell’iceberg di un sistema di corruzione che vede nel nepotismo e nel “clanismo” le colpe più gravi addebitate al potere. Riferisce Aly Tounkara, direttore del Centro per la sicurezza e gli studi strategici nel Sahel, che “molti maliani percepiscono l’ombra di Karim fluttuare sopra lo StatoAi suoi amici vengono affidate posizioni di alta responsabilità poco legate alle loro capacità e le negoziazioni per l’acquisizione di appalti pubblici spesso passano attraverso lui o i suoi parenti. Questo dà l’impressione che sia il figlio a gestire il Paese non il padre. Si potrebbero definire “affinità sociali” abbastanza diffuse ovunque.

Brevemente, Karim Keïta è un cosmopolita; nato a Parigi, ha conseguito il diploma di maturità alla Royal Athénée de Waterloo di Bruxelles, prima di studiare business alla Ichec Brussels Management School, poi a Hec Montréal. Rientrato in Mali nel 2006, ha fondato e gestisce alcune aziende di consulenza come la Konijane Strategic Partners (Ksp), molto tentacolare nel panorama delle società di affari maliane. Il salto in politica lo ha fatto nel 2013 diventando consigliere nel comune Bamako II, poi inseritosi nel potere politico governativo dopo l’elezione a presidente del padre, una sorta di vice presidente de facto. In Mali dove la guerra contro il jihadismo è esplosa dal 2012, il business militare nel suo complesso è un tema chiave per il mantenimento del potere, così nel 2014, Karim Keïta è diventato presidente della Commissione di difesa, sicurezza e protezione civile dell’Assemblea Nazionale, scavalcando Niamé Keïta (deceduto il 16 aprile 2020), ex direttore generale della polizia, il cui curriculum era molto più idoneo alla carica. Nonostante il riconoscimento assegnatogli dall’African International Business Forum, alla Camera dei Lord del Parlamento britannico, è stato accusato di influenzare la gerarchia militare e di gestire con interessi personali i ricchi appalti pubblici sulle forniture alle forze armate.

Oggi la disputa, che incendia il Mali, trova la sua scintilla nei risultati delle elezioni legislative dell’aprile 2020; rieletto Ibrahim Boubacar Keïta, il figlio del presidente è stato subito accusato di essere il manovratore della Camera e lì imporre i suoi parenti, come il presidente dell’Assemblea Moussa Timbiné. Alla luce del rischio concreto di una insurrezione pericolosa per tutta la regione accompagnate dalle le gravi minacce jihadiste sempre pronte a colpire, il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita, su istruzioni specifiche del re Mohammed VI, la settimana scorsa è partito da Rabat per Bamako al fine di avviare una mediazione tra il leader del movimento del 5 giugno, l’Imam Mahmoud Dicko ed il presidente Ibrahim Boubacar Keïta, anche con lo scopo di trovare un antidoto per quello che i maliani insoddisfatti definiscono il “Karim virus”. L’ascendente di Maometto VI per disinnescare la crisi è andato a supporto agli sforzi dell’Unione Africana, della Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), delle Nazioni Unite e dell’Ue in Mali, che insieme alla diplomazia marocchina auspicano la formazione in Mali di un governo di unità che porti alla indizione di nuove elezioni legislative.

A tal proposito l’ufficio di Presidenza del Mali ha annunciato l’arrivo, in questa settimana di una missione Ecowas guidata dall’ex presidente della Nigeria Jonathan Goodluck e composta dai presidenti delle Corti costituzionali dei Paesi membri; tuttavia anche se il Marocco non è membro della Comunità Ecowas, Maometto VI avrà il suo determinante peso al fine di disinnescare la “bomba Mali” pericolosa per tutta l’aerea nord occidentale africana.

Aggiornato il 20 luglio 2020 alle ore 13:35