Yemen: gli Emirati sotto il mirino della Giustizia internazionale

Nello Yemen si sta celebrando, nella quasi indifferenza planetaria, una delle più gravi tragedie umanitarie di questi ultimi decenni. Oggi il dramma del popolo yemenita è considerato il più pesante del mondo: 23 milioni di yemeniti, su una popolazione di 28,5 milioni, vessano in condizioni di sofferenza e hanno necessità di urgente aiuto. In un mio precedente articolo pubblicato sull’Opinione, scrissi sulle cause delle divisioni all’interno della società yemenita e degli attriti tra i gruppi confessionali islamici, quello sciita e sunnita, divisioni aggravate dalla pesante diversità politica esistente all’interno del Paese.

Brevemente, lo Yemen Meridionale, colonia britannica dal 1839, raggiunse l’indipendenza nel 1967, con capitale Aden; lo Yemen Settentrionale, con capitale Sanaa, non ebbe colonizzazione, vivendo autonomamente il processo di sfaldamento dell’Impero Ottomano e l’influenza dei confinanti cugini sunniti wahabiti. L’odierna Repubblica dello Yemen nasce dall’unione di queste due diverse “storie”; nel 1990, quando la fusione tra la Repubblica Araba dello Yemen (Yemen del Nord) e la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (Yemen del Sud) si compie, si formalizzano anche i confini, frutto di lunghi negoziati e onerose operazioni diplomatiche della Monarchia Britannica con l’Arabia Saudita.

Tuttavia tra la parte nord sunnita e la parte sud sciita gli attriti non tardano a concretizzarsi: nel 2004 si sono conclamati con l’antagonismo tra la comunità sciita (setta Zaidi Shia ) degli Houthi che rivendica, alla compagine governativa sunnita, un ruolo non marginale nella gestione “politica” del potere. Il cronico conflitto che ha visto il consueto fallimento della politica internazionale sia di quella britannica che di quella multipolare francese, ha condotto, tra drammatici eventi socio-politici, ad uno schieramento nel mondo musulmano tra l’Iran che supporta la parte sud composta dalla etnia Houthi, sciita e la parte nord supportata dell’Arabia Saudita e appoggiata da Emirati Arabi, Kuwait, Bahrain, Egitto e Giordania (sunniti).

In questo altro pantano geopolitico, dove i morti, difficilmente censibili, oltrepassano il numero di 300mila, da diversi mesi si stanno moltiplicando le accuse di crimini di guerra commessi in Yemen dagli Emirati Arabi Uniti e dalla sua coalizione. Un’importante numero di studi, pubblicazioni e articoli (Reuters) sta dimostrando che il principe ereditario degli Emirati Arabi Mohamed Ben Zayed, non ha avuto tentennamenti nell’adottare qualsiasi atteggiamento utile per raggiungere l’obiettivo di avere uno Yemen totalmente sotto controllo e lontano politicamente dall’Iran, compreso la sistematica violazione del Diritto Internazionale.

Tuttavia l’attrazione per lo Yemen non è solo tesa ad ottenere una prevaricazione del sunnismo sul peculiare sciismo degli Houthi, nemmeno quella strategicamente interessante che riguarda il controllo dei crocevia terrestri e delle rotte marittime nell’aerea del Golfo di Aden e dell’Oceano Indiano, ma il piano sembra sia di ordine geopolitico, cioè di imporre un sistema di “stabilità autoritaria” nel mondo arabo. Tale concetto di “stabilità autoritaria” è un disegno geostrategico degli Emirati e dei Sauditi, che mira ad evitare il proliferare della politica destabilizzante che ha investito, anche con il “costume” della Primavera araba, il mondo arabo-musulmano. Viste le strategie in atto possiamo ipotizzare che al fine di contrastare l’Islam politico, Mohamed Ben Zayed cerca di reinstallare, ovunque può intervenire o avere ascendenza, una stabilità autoritaria, garantita dai militari posti al governo e subordinati. Così vediamo gli Emirati impegnati in Libia, in Egitto, in Sudan e nello Yemen solo citando quelli con maggiori attenzioni mediatiche. Abu Dhabi sfrutta il suo potere per mettere in atto a tutti i costi la sua strategia di un “nuovo ordine” per un Medio Oriente sicuro. Togliendo la politica dall’Islam e quindi superando i disordini ad essa connessi, si dovrebbe ottenere, secondo le strategie degli Emirati, un mondo arabo stabile.

In questi ultimi cinque anni Abu Dhabi ha sfidato tutte le regole internazionali del multilateralismo, ha creato corridoi per gruppi militari e per materiali bellici. La Corte Penale Internazionale nel 2017 ha accolto la prima denuncia presentata dall’Ong Arab Organization for Human Rights, che ha reso noti i crimini di guerra nello Yemen manifestati con aggressioni contro civili, torture diffuse, uso di armi non convenzionali, come bombe a grappolo vietate dagli accordi internazionali ai quali gli Emirati non hanno ancora aderito, nonché l’utilizzo dei mercenari, modalità diffusa anche in Libia, all’origine di atrocità verso i civili. Risulta che Abu Dhabi abbia inviato circa 11mila militari nello Yemen, di questi quasi 1800 sono mercenari di altri Paesi musulmani, ma prevalentemente sudanesi.

Così in queste ore mentre la peggiore crisi umanitaria del mondo attanaglia lo Yemen, gli avvocati britannici chiedono alla “politica statunitense” di arrestare i funzionari degli Emirati accusati di crimini di guerra nel conflitto yemenita; mentre gli emiri voglio creare nel mondo musulmano un “nuovo ordine basato sulla stabilità autoritaria”; intanto 23 milioni di yemeniti, bambini, donne e uomini, sono sull’orlo del baratro, senza acqua, senza cibo e nel terrore assoluto e le Nazioni Unite osservano la tragedia.

Aggiornato il 27 luglio 2020 alle ore 10:44