Libia, Bernard-Henri Lévy: il teatro dell’assurdo intorno alle fosse comuni

La Libia rappresenta oggi un palcoscenico nel quale si confonde l’estrema drammaticità con la patetica commedia, a volte appaiono anche paradossi che potremmo identificarli tendenzialmente comici se non ci fossero migliaia di morti. Uno di questi casi è quello che vede lo scrittore e filosofo francese, presente anche nei nostri canali televisivi (recentemente in un confronto con Matteo Salvini), Bernard-Henri Lévy, che il 25 luglio era in Libia ufficialmente per “investigare” sulle fosse comuni trovate nell’area della Tripolitania, presumibilmente realizzate dall’esercito del generale Khalifa Haftar durante l’occupazione e scoperte dopo che le forze del Gna di Fayez al-Sarraj hanno riacquisito il controllo di quell’area. Quello che si è verificato in quella circostanza è stato, a detta anche dei media locali, “uno spettacolo degno del teatro dell’assurdo”. Il filosofo, autore di The War Without Loving Him: Diary of a Writer in the Heart of the Libyan Spring, nel quale scrive del ruolo fondamentale avuto dalla Francia nella deposizione di Muammar Gheddafi, è atterrato sabato scorso con un aereo privato all’aeroporto di Misurata, che si trova a circa 200 chilometri a est di Tripoli. La sua missione con scopi da identificare (o pseudo umanitaria o per i diritti umani o altro) sarebbe dovuta durare due giorni, tuttavia eventi inattesi l’hanno ridotta a circa una decina di ore.

Va detto che il suo principale compagno di viaggio è stato un certo Fathi Bashagha, che sulla carta è “semplicemente” il ministro dell’Interno della Tripolitania, ma in pratica è il personaggio principale del governo di Tripoli, colui che ha operato i recenti successi contro l’esercito dell’Anl del generale Haftar. Fathi Bashagha è molto in armonia con Lévy, stile sobrio da statista, aperto all’occidente e conscio di essere al centro degli “sguardi” internazionali, una figura che esprime responsabilità e che contrasta con l’immagine anarchica che le “mescolate” milizie dell’Occidente libico spesso esibiscono. Bashagha, presente nella “rivoluzione” libica sin dal 2011, viene legato nell’immagine alla città di Misurata, da cui proviene; la strategica posizione e la difficile espugnabilità della città portuale, simboleggia anche una sorta di garanzia sulla “tenuta” di Tripoli e sulle autorità governative della Libia occidentale, rappresentando la vera roccaforte della Tripolitania. Anas El Gomati, fondatore del Sadeq Institute di Tripoli, ricercatore in socioeconomia, governance democratica, sicurezza ed Islam politico in Libia e docente visitatore presso Nato Defense College di Roma, afferma che Bashagha “Ha ambizioni più ampie rispetto a difendere e rappresentare Misurata, vuole rappresentare la Libia”. Infatti, Bashagha in più occasioni ha manifestato, con plateali affermazioni, la sua contrarietà circa le interferenze straniere in Libia; ad aprile, ha decretato la sospensione degli accordi di sicurezza tra Parigi e Tripoli a causa della posizione del governo francese a sostegno di quello che definisce il “criminale Haftar”. Tuttavia viene considerato uno statista sobrio e moderato, che “lavora” per crearsi un profilo di leader responsabile con particolare attenzione sia ai media occidentali che libici. 

Ad aprile, pochi giorni dopo l’inizio dell’offensiva contro l’Anl, Bashagha ha parlato sul canale ufficiale YouTube del suo Ministero pronunciando un discorso solenne sottotitolato in inglese, dove ha affermato che: “Il dialogo dell’odio non crea uno stato”. Questo è l’uomo che ha accompagnato Bernard-Henri Lévy ad incontrare coloro che a Tripoli, in politica, in economia e nell’ambito militare prendono decisioni. Molti di questi erano sulla carovana che accompagnava Lévy nei pressi di Tarhouna situata a circa 80 chilometri a sud-est di Tripoli e a 160 da Misurata, dove sono state trovate le fosse comuni attribuite all’esercito del maresciallo Haftar e nelle quali erano stati seppelliti i nemici dell’Anl. Quello che molti definiscono “l’agitatore pubblico”, Levy, non aveva messo piede in Libia dal 2011, il suo arrivo e la sua carovana diretti verso Tarhouna, non ha riscosso le aspettative nutrite dal filosofo, infatti è stato oggetto di insulti antisemiti subendo anche un attacco da parte di una milizia, forse volutamente non ben identificata. Isito web Tsa, Tout sur l’Algerie, riporta un video dove si vede che uomini armati bloccano il convoglio del controverso scrittore e filosofo francese, il quale ha dovuto fare marcia indietro e così la sua missione che sarebbe dovuta durare due giorni, si è spenta in poche ore.

Gli interrogativi sono essenzialmente due: chi ha autorizzato l’ingresso di Lévy in Tripolitania? E perché fare entrare un francese in Tripolitania quando la Francia è alleata con la Cirenaica di Haftar? Come accade ovunque le autorità libiche hanno reagito annunciando che un’indagine sarebbe stata aperta su questo viaggio al fine di chiarire chi aveva invitato Bernard-Henri Lévy a venire in Libia, mentre Parigi non nascondeva il suo sostegno a Khalifa Haftar. Secondo quanto riferito da Lévy al Libya Observer, risulta che lo scrittore ha affermato di aver ottenuto il visto di ingresso in Libia attraverso il giornale per cui lavora e non attraverso il Ministero degli interni libico. Tuttavia oltre l’immagine di questo paradossale teatrino che ha sullo sfondo una scena infernale, il 25 luglio, l’agitatore pubblico, Bernard-Henri Lévy e Fathi Bashagha, sono stati protagonisti di uno spettacolo degno del teatro dell’assurdo, di cui i libici facevano volentieri a meno. Molti interrogativi si potrebbero aprire sullo strano viaggio e la cacciata di Lévy dalla Libia e sui rapporti con “l’oligarca” libico Fathi Bashagha, ma forse anche in questo caso le ragioni di interessi internazionali offuscheranno la verità.

Aggiornato il 29 luglio 2020 alle ore 11:05