La Cina fa paura. E la Russia...

La Cina è sotto i riflettori da parecchio tempo per una serie di questioni diverse fra loro, ma tutte piuttosto importanti. Prima la guerra commerciale con gli Stati Uniti, poi l’esplosione globale del Covid-19 in merito al quale il regime comunista di Pechino deve più di un chiarimento al mondo, sia per le verità occultate agli inizi della pandemia che per i numeri ufficiali, relativi al territorio cinese, del contagio e dei decessi probabilmente non veritieri. Infine, l’aggressione all’autonomia di Hong Kong.

È sacrosanto mantenere una forte pressione internazionale sulla Cina e puntare in prospettiva ad una globalizzazione economica meno sino-centrica. A tal proposito è un bene che alla Casa Bianca vi sia un presidente come Donald Trump, che non è mai stato e non è accondiscendente nei confronti del Dragone, considerate l’impotenza europea, e la compiacenza filo-cinese di alcuni governi del Vecchio Continente come quello italiano, e la capacità americana di contenimento delle mire di Pechino. Bisogna solo sperare che il tycoon possa rimanere nello Studio Ovale per i prossimi quattro anni e non sia costretto ad un prematuro trasloco.

Chi è ancora affezionato alla cara e vecchia democrazia liberale, non può non temere la Cina a causa anzitutto dell’allargamento delle ambizioni imperialiste del Pcc, e poi di quegli occidentali, fra i quali i nostri giallo-rossi al governo, che sembrano intenzionati a gettarsi fra le braccia di Xi Jinping e dei suoi gerarchi.

Vi è tuttavia anche un’altra potenza non democratica circa la quale sarebbe saggio non abbassare la guardia, e ci riferiamo naturalmente alla Russia di Vladimir Putin. Quest’ultima, attraversando un cambiamento in parte simile a quello cinese, ha acquisito negli anni un notevole peso dal punto di vista economico, ma sul piano interno della politica non è mai giunta ad una forma di democrazia compiuta. Anzi, una volta archiviata l’era di Boris Eltsin, la Russia è andata incontro ad una costante involuzione autoritaria. Se occorre fare i conti con il potere economico cinese, che può senz’altro subire un ridimensionamento soprattutto dopo il coronavirus, ma che certamente non può essere eliminato con un colpo di spugna dall’oggi al domani, epperò non è possibile tacere di fronte alla tracotanza e alle numerose violazioni dei diritti umani da parte della Cina comunista, allo stesso modo è impossibile ignorare l’importanza economica della Russia, evitando però di fare finta di nulla dinanzi ai tanti abusi commessi finora dal regime putiniano.

In tempi recenti Putin ha mostrato a più riprese i propri muscoli, (muscoli di una potenza nostalgica dell’imperialismo sovietico che fu), intervenendo a gamba tesa in Ucraina e in Georgia, violando così la sovranità di questi due Paesi che non sono più repubbliche dell’ormai defunta Urss. Vladimir Putin ha attuato una forte persecuzione del dissenso, inseguendo le potenziali, per lui, minacce finanche all’estero, e neutralizzandole con il veleno, a cominciare dall’ex-agente dei servizi segreti russi Alexander Litvinenko.

A quanto pare, il dramma dell’oppositore Alexei Navalny sta dimostrando proprio in questi giorni come l’uso del veleno per annichilire i dissidenti rimanga assai in voga dalle parti del Cremlino. E rimane intatta la tendenza a considerare le repubbliche ex-sovietiche come una zona del mondo che deve ancora rispondere a Mosca. Dopo l’annessione illegale della Crimea e il supporto in Georgia delle due repubbliche fantoccio di Abkhazia e Ossezia del Sud, la Russia interferisce senza tanti complimenti in Bielorussia, a sostegno del locale dittatore Alexander Lukashenko.

Il presidente bielorusso viene riconfermato al potere da tanti anni da elezioni farsesche e truccate, che puntualmente gli assegnano percentuali di consenso superiori all’ottanta per cento, e così è successo anche durante le elezioni presidenziali del 9 agosto scorso. Ma evidentemente il gioco delle finte elezioni inizia ora a funzionare un po’ meno perché l’opposizione si è risvegliata e rafforzata, e tutta la Bielorussia si è forse stancata di vivere in una dittatura de facto, quindi il potere di Lukashenko inizia a scricchiolare per la prima volta con una riconferma adesso finalmente contestata, e Putin, per scongiurare un’eventuale uscita di Minsk dall’orbita russa, corre in suo soccorso, promettendo l’invio di forze di sicurezza al fine di sedare eventuali disordini.

Sarebbe opportuno ricordare a Vladimir Putin che non può sempre fare come gli pare, e se l’allungamento degli artigli cinesi su Hong Kong è senz’altro da condannare nella maniera più risoluta, è altrettanto stigmatizzabile il manganello putiniano in Bielorussia.

Aggiornato il 28 agosto 2020 alle ore 11:14