La visione dell’Australia, nell’inquieto Indo-Pacifico

La geopolitica di Canberra nelle acque contese tra Cina e Usa. Analisi di Dan Pagoda, esperto di affari internazionali e geopolitica australiana.

L’analisi della postura geopolitica dell’Australia viene spesso ridotta alla domanda: “Affidarsi alla Cina per alimentare l’economia o appoggiarsi agli Stati Uniti per sostenere la propria difesa?”.

La questione ha vissuto una rinnovata attenzione sotto l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il cui antagonismo verso la Cina ha posto i riflettori sull’Australia e sul suo ruolo tra le potenze economiche regionali. L’apparente lacerazione delle relazioni politiche tra Stati Uniti e Cina, e i toni guerreschi che si sono succeduti da entrambi le parti, hanno fatto sì che alcuni analisti abbiano percepito nella politica estera dell’Australia una svolta “isolazionista”.

Tuttavia, così come non è saggio analizzare la geopolitica dell’Australia su quest’unico aspetto, allo stesso modo è sbagliato confondere l’isolazionismo con l’indipendenza. Piuttosto che cercare di isolarsi dagli Stati Uniti o dalla Cina, l’Australia continua ad affermare la propria indipendenza e a lavorare per ridurre le tensioni. Di conseguenza, mentre la politica estera degli Stati Uniti ha adottato un approccio decisamente isolazionista, dando luogo ad opinioni su un possibile ridimensionamento dell’egemonia americana, al contrario l’Australia sta seguendo una politica multilaterale indipendente.

L’Australia nel mondo

L’Asia, l’Asia pacifica, il Pacifico meridionale, l’Australasia, l’Oceania? La collocazione geografica e geopolitica dell’Australia non è mai stata facile da definire. Negli ultimi anni, il governo australiano ha adottato il termine “Indo-Pacifico” per descrivere la propria posizione strategica nel planisfero. Il cambio di denominazione è significativo. Precedentemente la prospettiva della politica estera era incentrata sul “Pacifico-Asiatico”; focalizzarsi sull’”Indo-Pacifico” vuol dire aumentare l’attenzione sui territori più prossimo alla nazione. Tale trasformazione è stata sottolineata, nel 2015, dall’allora primo ministro australiano Malcom Turnbull, con la nuova denominazione del ministero per lo Sviluppo Internazionale e il Pacifico.

Un cambiamento terminologico che ha impattato fortemente sul programma di aiuti internazionali dell’Australia. I sussidi sono stati concentrati nei paesi considerati prossimi al proprio cortile di casa. Infatti, sebbene il budget complessivo degli aiuti internazionali sia sceso ad appena lo 0,2% del Pil – lontano dall’obbiettivo Onu dello 0,7 per cento – gli aiuti destinati dalla regione del pacifico sono rimasti stabili. Sarebbe facile considerare l’Australia come interessata solo alle questioni di diretto impatto nazionale, tuttavia la realtà e ben lontana da ciò. Canberra aspira a divenire attore sulla scena mondiale.

L’Australia, negli ultimi anni, ha conquistato due seggi a rotazione nel Consiglio delle Nazioni Unite, prima nel Consiglio di Sicurezza e poi in quello per i Diritti Umani. Insieme a Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda, è membro dell’esclusivo gruppo dei Five Eyes, la più antica partnership di intelligence del mondo. Le forze di difesa australiane continuano ad impegnarsi in missioni lontane dalle coste del Paese. È stato uno dei primi Paesi a impegnare truppe nell’ambito della guerra al terrorismo e aveva gli stivali sul terreno in Afghanistan appena un mese dopo gli attacchi dell’11 settembre, dove rimangono circa 200 militari.

Nonostante ufficialmente il budget per gli aiuti dell’Australia sia concentrato sull’Indo-Pacifico, il Paese continua ad agire come un rispettato “cittadino globale”, dando una mano nei momenti di disastro, ovunque occorra, come nel caso della recente calamità a Beirut in Libano.

Australia e Cina: due sponde dello stesso mare

Le relazioni dell’Australia con la Cina sono state saldamente costruite sul commercio. Gli scambi economici tra i due Paesi hanno rappresentato quasi un quarto del totale degli scambi commerciali bilaterali dell’Australia nel 2019, eclissando il Giappone al secondo posto (9,7%) e gli Stati Uniti al terzo (8,8%). La continua crescita economica dell’Australia sarebbe stata quasi certamente impossibile se non grazie all’insaziabile appetito della Cina per i minerali del Paese. D’altra parte, la Cina copre il 19% delle importazioni di beni in Australia, sottolineando l’amore degli australiani per i prodotti cinesi, in particolare dispositivi di telecomunicazioni ed informatici.

Mentre il rapporto commerciale è simbiotico, il rapporto politico è stato tutt’altro che florido. Confermando di non aver paura di prendere decisioni difficili e unilaterali, l’Australia è stato il primo Paese a bandire Huawei dalla sua rete di telecomunicazioni 5G, con le conseguenti critiche di discriminazione da parte dell’ambasciatore cinese. Gli Stati Uniti (e più tardi il Regno Unito) hanno seguito l’Australia, contrariamente a quanto spesso viene riportato dai media.

In aprile, il ministro degli Esteri australiano, Marise Payne, ha annunciato la richiesta bipartisan per un’inchiesta indipendente sulle origini della pandemia di coronavirus. La reazione della Cina non ha sorpreso. Suggerendo che i cinesi avrebbero potuto perdere l’interesse per i prodotti australiani, Beijing ha minacciato essenzialmente – e poi attuato – delle sanzioni economiche. L’Australia ha anche espresso preoccupazione per la repressione della minoranza uigura e ha contestato la nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong. La risposta cinese è stata la diramazione di un avviso di pericolo per i suoi cittadini che volessero recarsi in Australia.

Questi eventi si sono svolti in concomitanza con l’aumento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, voluto dalla presidenza Trump. Principale artefice di tale scontro è stato il Segretario di Stato Mike Pompeo, il quale in un discorso del 23 luglio ha definito il presidente cinese Xi Jinping come la coreografia di un “desiderio decennale di egemonia globale del comunismo cinese”.

Tuttavia, solo quattro giorni dopo, le speranze statunitensi di un’alleanza anticinese con l’Australia sono state deluse. In una conferenza stampa congiunta con il suo omologo americano, Payne ha chiarito che l’Australia avrebbe percorso la propria strada, sottolineando che: “il rapporto che abbiamo con la Cina è molto importante e non abbiamo alcuna intenzione di danneggiarla”. Come se non bastasse, ha aggiunto: “prendiamo le nostre decisioni, i nostri giudizi nell’interesse nazionale e sul mantenimento della nostra sicurezza, della nostra prosperità e dei nostri valori”.

Quale stabilità regionale?

Nonostante le grandi distanze che la rendono uno dei paesi più isolati della terra, l’Australia ha svolto una funzione vitale per la stabilità della sua regione. La prosperità regionale futura dipenderà in gran parte dal perseguimento di questo ruolo.

La decisione di favorire i paesi più prossimi nell’elargizione degli aiuti esteri rappresenta un fattore chiave. Il programma Step-up in the Pacific, del primo ministro Scott Morrison ha portato gli aiuti destinati alla regione fino a 1,4 miliardi di dollari australiani nel 2019-20, più di un terzo del budget totale degli aiuti. Morrison ha sottolineato al forum del G20 di marzo come “la nostra famiglia dell’isola del Pacifico debba essere al centro degli aiuti economici di sostegno internazionale”. La linea paternalistica è stata ripetuta in un comunicato stampa ministeriale in cui Payne ha descritto la “famiglia del Pacifico” dell’Australia come “essenziale per la salute e sicurezza regionale e per i nostri interessi a lungo termine”.

Morrison ha riconosciuto che l’Australia a volte ha dato per scontati i suoi vicini, un’ammissione forse stimolata dalla crescente presenza della Cina – e dal suo notevole attivismo – nella regione. Uno degli eventi più significativi si è verificato nel 2018, quando si è palesata la volontà cinese di stabilire una presenza militare a Vanuatu, una piccola isola che dista solo 2000 chilometri dalle coste australiane. Una prospettiva che ha allarmato Usa e Australia.

Mentre le nazioni delle isole del Pacifico sono state in gran parte risparmiate dalla pandemia di Covvid-19, le loro economie rischiano il collasso dipendendo fortemente dal turismo. Queste piccole ma strategiche nazioni, nella fascia bassa della scala socioeconomica, dipenderanno fortemente dagli aiuti internazionali per salvaguardare il proprio welfare statale e gestire il debito accumulato. L’Australia, con una lunga storia come maggior donatore regionale, è ben determinata a mantenere tale primato promuovendo con successo la stabilità e prosperità regionale attraverso una diplomazia economica basata sugli aiuti e sussidi.

Australia proiettata nel futuro

È passato mezzo secolo, da quando lo storico Geoffrey Blainey ha coniato la dicitura “la tirannia della distanza” per descrivere la crescita dell’Australia da avamposto coloniale britannico, distante mezzo mondo, al Paese che è oggi, una media potenza proiettata verso il futuro nel segno dell’indipendenza.

Ci è voluta una pandemia globale per mettere fine al suo record di 27 anni consecutivi di crescita economica: ci vorrebbe ben altro per far si che l’Australia adottasse una politica isolazionista.

Canberra continuerà ad avere un forte impegno multilaterale – non solo con gli Stati Uniti e la Cina, ma anche con gli altri attori come Regno Unito, Unione europea, Giappone e Indonesia – basato su un’abbondanza di soft power. La modifica nella destinazione degli aiuti esteri riflette la comprensione del mutamento della realtà geopolitica. Gli aiuti internazionali sono sempre più una soluzione preziosa per proteggere e far progredire la sicurezza dei propri interessi al pari delle armi convenzionali. Per chi sostiene ancora che l’Australia segua a passo di marcia gli Stati Uniti, gli basterà analizzare le ultime iniziative intraprese da Canberra, avvenimenti che dimostrano la volontà di non prendere decisioni che favoriscano gli alleati a scapito proprio. Con questa prospettiva, abbiamo dato una risposta alla domanda in apertura sottolineando come l’Australia, tra Usa e Cina, si muova nel solco dell’interesse nazionale e della propria indipendenza.

(*)Traduzione a cura di Rodolfo Maria Salvi, junior fellow del think tank “Il Nodo di Gordio

Aggiornato il 01 settembre 2020 alle ore 15:00