Trump 4x4: Biden come Hillary?

Mai dire quattro! L’ultrafavorito Joe Biden rischia seriamente di fare la fine infausta dell’Hillary Clinton delle presidenziali 2016, vincendo il voto popolare ma perdendo a novembre 2020 quello dei grandi elettori. A decidere sarà, però, la roulette del Covid che, con ogni probabilità, terrà lontani dalle urne milioni di elettori americani orientandoli a preferire il voto postale che, tuttavia, presenta un rischio potenziale di brogli, con conseguente, inevitabile contestazione e impugnazione del risultato, obbligando così la macchina elettorale a un riconteggio esasperante dei voti espressi. Con il bel risultato, in questo caso, di prorogare ben più a lungo del previsto l’interim del presidente uscente. Intanto, le rispettive Convention repubblicana e democratica hanno già espresso alcuni valori in campo, i cui punti di forza, paradossalmente, sono rappresentati da personalità femminili. Spudoratamente Politically correct (quindi, fin troppo leziose e scontate) quelle della corte di Biden, a partire dalla candidata alla vicepresidenza, Kamala Harris, già procuratore distrettuale di ferro a San Francisco, per finire all’impeccabile Jill Biden, la moglie democraticamente perfetta dello sfidante. Di tutt’altro tono l’atmosfera esuberante nell’altro campo, dove le donne forti della corte trumpiana, Melania (una sorta di Diana Spencer all’americana, ultraglamour e disallineata dal conformismo di corte) e Ivanka, hanno presentato al mondo repubblicano e non solo la compattezza della loro “famiglia presidenziale”, con tanto di erede in pectore nella figura della figlia di Trump, Ivanka.

Ma, al di là del palcoscenico, dei trucchi e dei lustrini (compresa la divisa color militare della First lady, andata a viso aperto alla battaglia elettorale a sostegno del marito presidente), la sfida riguarda, come al solito quando si tratta dell’America, l’economia e la sicurezza. La recente decisione della Fed (la Banca centrale Usa) di non tenere conto dell’inflazione per condizionare le sue politiche monetarie (anche a causa del fallimento dei modelli macroeconomici, che legavano l’aumento dei tassi di interessi alla necessità di raffreddare un’economia dopata dal credito a buon mercato. Oggi, malgrado l’enorme liquidità circolante l’economia ristagna!), ha di fatto favorito la politica espansionista di Trump, in grande difficoltà a seguito della caduta del Pil interno a causa della pandemia. L’Amministrazione americana ha reagito con grande tempestività, dal punto di vista organizzativo, per sostenere finanziariamente le famiglie in difficoltà a seguito dell’epidemia, erogando direttamente sui conti correnti dei propri cittadini un contributo una tantum (circa 1.200 dollari, in base al reddito, per ciascun lavoratore rimasto disoccupato, più altri 500 dollari per ogni figlio a carico), per aiuti complessivi pari a 2.000 miliardi di dollari, di cui 367 sono andati alle piccole imprese e 150 al potenziamento degli ospedali e per la copertura sanitaria agli indigenti.

Approfittando della crisi da Covid, Trump ha giocato con abilità felina sul tavolo della politica estera, accelerando notevolmente i tempi del decoupling Usa-Cina, facendo leva sulla drammatica carenza di risorse strategiche come i principi attivi degli antibiotici (di cui i cinesi hanno in pratica il monopolio, a causa della massiva delocalizzazione delle industrie farmaceutiche americane), e le apparecchiature per la ventilazione meccanica che, come accadrebbe in un’economia di guerra, sono state prodotte in emergenza e a sufficienza attraverso la riconversione di impianti produttivi in numerose pmi americane. Al contrario di Jair Bolsonaro, e grazie al suo Deep State, Trump ha giocato sui due tavoli opposti del negazionismo (al fine di ritardare o di impedire quanto più a lungo possibile un disastroso lockdown, che avrebbe terremotato l’economia americana, a fronte di una Cina in forte recupero post-covid!), controbilanciato da una figura del calibro scientifico di Anthony Fauci e della sua equipe di virologi, che hanno invece dato agli americani i consigli giusti, tenendo alto l’allarme contagio. In pratica, di fatto l’Amministrazione Usa punta fin dall’inizio sull’immunità di gregge, per consenso unanime di una maggioranza silenziosa che non vuole e non può smettere di lavorare (l’America non ha un sistema di welfare anche lontanamente paragonabile a quello europeo!), in questo aiutata dalle manifestazioni oceaniche di protesta contro la discriminazione razziale e l’uso della violenza da parte delle forze di polizia, in cui chi sfila per le strade non osserva né le distanze, né le altre misure di prevenzione.

Ma, ancora una volta, sarà proprio il principio di “Law & Order”, che riguarda la sicurezza sia degli elettori democratici che repubblicani, a fare la differenza. Perché i quartieri oggetto di saccheggi e quelli abbandonati al controllo delle bande giovanili e ai traffici di stupefacenti hanno fatto rapidamente risalire gli indici di criminalità e di insicurezza diffusa. Di fronte a sindaci e governatori democratici allo sbando, che predicano il defunding delle forze locali di polizia e non impediscono gli atti vandalici contro la proprietà privata, Trump ha dalla sua la forza vincente della Guardia nazionale di cui è lui da solo a deciderne le modalità di impiego, trattandosi di forze particolarmente ben addestrate. Del resto, il Politically correct e movimenti Black Lives Matter perdono di vista l’obiettivo fondamentale della tutela della sicurezza pubblica: il bottegaio di colore che vede il suo negozio saccheggiato, o le madri afro-americane che piangono i figli uccisi dalle baby gang che si contendono con le armi il controllo dello spaccio nei quartieri poveri, non faranno di certo salti mortali per votare il candidato democratico. Ecco perché il Trump 2 è sempre più probabile: malgrado il suo carattere imprevedibile, l’attuale presidente si è ben guardato di dichiarare guerra a chicchessia, evitando di rischiare sul campo migliaia di vite di soldati americani. E il recente riconoscimento di Israele da parte degli Emirati Arabi Uniti rappresenta una sua storica vittoria in materia di politica mediorientale. Dunque, fatti Quattro conti.

Aggiornato il 02 settembre 2020 alle ore 12:04