Africa: il tiro alla fune sulle presidenze a vita

lunedì 14 settembre 2020


Da un recente sondaggio dell’agenzia Afrobarometer, rete panafricana che si occupa di fare ricerche sulle governance e le democrazie in Africa, risulta che il 67 per cento degli africani vorrebbe vivere in società libere, aperte e laiche. Va detto che rispetto ad una identica ricerca fatta circa dieci anni fa, questa percentuale è in calo, infatti allora si attestava al 73 per cento. Emmanuel Gyimah-Boadi, direttore esecutivo e co-fondatore di Afrobarometer, ha dichiarato che: “Gli africani vogliono solo più democrazia; vogliono meno corruzione, più trasparenza, meno impunità, più opportunità economiche”; ha anche affermato che è nell’interesse dei partner stranieri promuovere e sostenere questo obiettivo, affinché i modelli antidemocratici di sviluppo nazionale non diventino più attraenti delle “forme” democratiche. Un’altra voce molto autorevole africana è quella di Salif Keita, che rappresenta una leggenda della musica maliana, il quale ha dichiarato, in una intervista di alcuni mesi fa, che la democrazia in Africa ha fallito; alla domanda dell’intervistatore: “se crede che il continente africano abbia bisogno di un dittatore benevolo come in Cina?”, ha risposto con “modalità politiche”, tracciando una linea di demarcazione socio-culturale netta affermando che: “Per avere una democrazia, le persone devono prima capire cos’è la democrazia, come può la gente capirlo quando l’85 per cento della popolazione del Paese non sa leggere né scrivere”.

Tra democrazia e non democrazia, le attuali realtà africane, in media, si collocano, con poche variabili, in una zona intermedia di regimi di democrazia imperfetta; infatti vediamo aspetti che possiamo identificare in una democrazia, come le elezioni, che tuttavia convivono con forme antidemocratiche conclamate come autoritarismi, manipolazioni costituzionali, complicati avvicendamenti politici e Colpi di Stato. Questa panoramica che è un aspetto predominante delle pseudo democrazie in Africa, non è per molti autorevoli “voci” africane un modello, ma un obiettivo da combattere. Dichiarò Nelson Mandela: “Ho amato l’ideale di una società libera e democratica in cui tutte le persone vivessero insieme in armonia e con le stesse opportunità; è un ideale per il quale spero di vivere e di agire. Ma, se necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire”. Questa frase pronunciata dal leader del braccio armato dell’African National Congress, (Anc) prima del suo processo, assunse l’espressione di una supplica sotto forma di professione di fede, ed è rimasta famosa; grazie ad essa l’avvocato sudafricano di origine greca George Bizos, poté impostare la difesa di Mandela, icona anti-apartheid; tale espressione contribuì a fargli ottenere l’ergastolo escludendo così la pena di morte prevista. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa mercoledì 9 settembre ha annunciato la morte di George Bizos deceduto all’età di 92 anni, dichiarando il triste momento, ha affermato che Bizos è stato uno degli architetti della Costituzione del Sudafrica.

Negli anni della apartheid, della oppressione della popolazione nera, l’avvocato bianco Bizos difese i più influenti militanti dell’African national congress, combattendo appunto il sistema dell’apartheid e al momento che il potere bianco stava per cedere al potere della maggioranza nera, partecipò all’elaborazione della nuova Costituzione democratica del paese e una volta abolita l’apartheid, contribuì all’istituzione della Commissione per la verità e la riconciliazione, struttura responsabile delle indagini sui crimini politici del vecchio regime. Come vediamo aspetti di ricerca della democrazia sono presenti nel continente africano, purtroppo il “tiro alla fune” tra chi auspica uno sviluppo della democrazia, e chi lavora per uno sviluppo delle antidemocrazie è forte; vediamo oggi che il presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara, ha annunciato che si candiderà per un terzo mandato; così Alpha Condé, presidente della Repubblica di Guinea, non sarà più solo nel tentare di succedere a se stesso, ed ovviamente si è affrettato a inviare un caloroso messaggio di congratulazioni al suo omologo ivoriano. A Niamey, in Niger, il presidente Mahamadou Issoufou sembra che trovi giusto l’obiettivo dei suoi omologhi su citati, mentre a Kinshasa nella Repubblica democratica del Congo, Joseph Kabila, sta agendo su ispirazione giuridica russa con l’applicazione della legge suprema; a Dakar, ora sarà grande la tentazione per Macky Sall di seguire la via della manipolazione costituzionale. Per quanto riguarda Paul Biya, in Camerun, e il maresciallo Idriss Déby, in Ciad, hanno ambedue a lungo calpestato la propria Costituzione senza ricevere il minimo rimprovero.

L’Unione africana, l’Organizzazione internazionale della francofonia e la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), hanno sanzionato il Mali dopo il colpo di stato militare del 18 agosto scorso; viene da chiedersi il perché queste attente Comunità africane non hanno sanzionato anche i governi della Guinea e della Costa d’Avorio che stanno manipolando, con la “penna” la Costituzione al fine di restare al potere. Sembrerebbe che queste istituzioni vogliano far passare il messaggio che il “colpo di potere dei letterati” sia più accettabile di quello degli ufficiali. È proprio l’ambiguità di questi atteggiamenti che danneggia il processo democratico avviato nei primi anni ‘90, in tutto ciò buone responsabilità ricadono sulle nazioni ex coloniali e non, che in Africa hanno interessi di ogni genere, e che non favoriscono lo svilupparsi di una democrazia reale e duratura, una democrazia basata su elezioni libere e trasparenti, una democrazia in cui l’alternanza avviene senza intoppi nel rigoroso rispetto delle regole stabilite. Osserva Nicholas Drew Cheeseman docente all’Università di Birmingham, che tra i 54 Stati del continente africano si riscontrano quindici democrazie difettose e sedici regimi autocratici. Aggiungo che dei restanti solo pochi hanno una organizzazione democratica accettabile e ricordo che svariati stati africani musulmani applicano la sharia, la legge islamica, che semplicemente non prevede il concetto di democrazia. Rammento che Nelson Mandela aveva promesso di rivestire la carica di presidente per un solo mandato e vi si è attenuto, 5 anni un mese e 5 giorni, nonostante le pressioni interne ed esterne alla nazione che avrebbero voluto un proseguimento; un’etica morale e politica introvabile anche nel democratico occidente.


di Fabio Marco Fabbri