Le età di Trump: un ritorno al futuro

giovedì 17 settembre 2020


Andare in avanti nel tempo per cambiare il passato. In questo caso, per Donald Trump, il viaggio andata e ritorno dal futuro punta a modificare i connotati degli attuali sondaggi, che vedono lo sfidante Joe Biden avanti di parecchi punti sul presidente uscente. Proiezioni ribaltabili unendo i puntini dei luoghi in cui la rivolta e i disordini razziali, provocati dalle manifestazioni di Black Lives Matter, potrebbero favorire un Trump da sempre favorevole a privilegiare politiche severe di Law&Order. Altro asso nella manica di The Donald: il recente colpo da maestro in solitario, che ha visto l’Amministrazione Usa rivoluzionare pacificamente gli attuali equilibri mediorientali, dopo aver riattraversato in senso contrario il Rubicone dell’appeasement relativo all’intesa sul nucleare iraniano, sottoscritto da un’Europa e da un’America democrats (entrambe sotto ricatto energetico) con il regime khomeinista. Accordo che tuttavia non aveva impedito alle milizie sciite pro-iraniane di insediarsi stabilmente in Iraq, Siria e Libano, grazie sia alle guerre civili che noi abbiamo incautamente provocato e appoggiato, sia alla battaglia condotta contro l’Isis che l’Iran e i curdi hanno vinto al posto nostro! Poiché il filo rosso è sempre passato, dal 1948 a oggi, per l’unità araba sunnita e sciita in difesa dei palestinesi e contro Israele, Trump e (soprattutto) suo genero Jared Kushner sono riusciti in silenzio, ma con metodo e determinazione, a separare quell’alleanza storica contro natura tra arabi sunniti e Iran sciita, facendo leva sui timori dei primi nei confronti del regime aggressivo ed espansionista di Teheran.

Del resto, mentre dal 1945 alla prima decade di questo secolo l’America e l’Occidente dipendevano in grandissima parte dalle forniture energetiche dei Paesi produttori mediorientali e del Golfo Persico, negli ultimi dieci anni quella dipendenza è venuta meno a causa della raggiunta autosufficienza degli Usa nel produrre petrolio dagli scisti bituminosi (shale oil) e, più in generale, dalla progressiva riduzione di carburante per gli spostamenti in auto, grazie alla sempre maggiore diffusione dei motori ibridi ed elettrici. Il terrore che la vittoria eventuale di Biden a novembre possa favorire la ripresa della politica dell’attenzione e dell’appeasement nei confronti dell’Iran, ha spinto Riad a giocare una carta strategica a favore di Trump, manovrando affinché suoi fedelissimi alleati, come il Barhein e gli Emirati arabi, instaurassero relazioni diplomatiche con Israele, demolendo così il monolite storico-ideologico del sostegno arabo alla causa palestinese. Stessa politica divisionista è stata attuata con successo dal duo Trump-Kushner per quanto riguarda l’Iraq, favorendo un suo ritorno nel campo occidentale, grazie ai consistenti aiuti finanziari americani (8 miliardi di dollari) per la ricostruzione delle sue infrastrutture e per l’acquisto di forniture petrolifere, destinate a rendere Bagdad finalmente indipendente dal sostegno di Teheran. Comunque vada, la legacy di Trump comporterà seri vincoli per l’agenda futura di Biden, qualora venga eletto, in merito al riconoscimento dell’assoluta necessità e indispensabilità di operare un irreversibile “decoupling” Usa-Cina, per riportare in patria le produzioni strategiche, con particolare riferimento ai settori farmaceutico e digitale avanzato (5G).

I Dem americani, infatti, debbono fare l’impossibile per farsi perdonare i catastrofici errori dei suoi presidenti, a partire dall’avallo clintoniano nel 2001 all’ingresso agevolato della Cina nel Wto, praticamente senza contropartite di reciprocità. Allora, la teoria più in voga a favore dell’apertura alla Cina (grazie alla falsa profezia di Fukuyama sulla Fine della Storia) riteneva che, per imitazione induttiva, anche l’ultimo gigante comunista sopravvissuto avrebbe, nel tempo, deposto ideologicamente le armi e adottato definitivamente i costumi di vita dell’Occidente, sposandone il liberalismo economico e quindi favorendo la libera circolazione di persone, idee, merci e capitali su scala planetaria, senza più ostacoli tariffari e frontiere chiuse. Pechino, da allora, ha invece praticato sullo scacchiere mondiale (fino a diventare la seconda potenza economica mondiale!) un’occulta strategia di potenza, commerciale, tecnologica e militare, ricorrendo tra l’altro: al dumping più spregiudicato sui costi del lavoro e della sicurezza relativa; al saccheggio di know-how Usa e Occidentale, attuato da un esercito agguerrito di hacker e di studenti iscritti alle facoltà scientifiche americane; a pratiche spregiudicate di spionaggio industriale, obbligando contrattualmente le aziende americane e occidentali intenzionate a delocalizzare in Cina a trasferire brevetti e segreti industriali a suo favore. Per non parlare poi degli immensi guadagni competitivi, ottenuti grazie all’imposizione di innumerevoli barriere tariffarie sulle importazioni e ai vincoli rigidi che condizionano il suo commercio con l’estero.

Con il bel risultato dell’insorgenza impetuosa di un nuovo, destabilizzante nazionalcomunismo alla cinese che ci ha visti, finora, riproporre a noi stessi una sorta di Accordo di Monaco del 1938, sminuendo l’incombente minaccia cinese a favore di un illusorio appeasement al fine di evitare un confronto franco e duro con un avversario che avrebbe tutto da perdere, se l’Occidente si dimostrasse unito e determinato a confrontarsi con lui a viso aperto. Il Tallone di Achille di Trump? Probabilmente, la gestione della pandemia e, soprattutto, lo sconvolgimento demografico della piramide d’età, in cui le classi degli elettori più giovani (con fasce molto numerose di afroamericani e latinos) prevalgono per la prima volta sui baby-boomers, favorendo obiettivamente il candidato democratico. Altro problema serissimo: il voto per corrispondenza, dato in forte, probabile aumento causa Covid, è facilmente oggetto di contestazione per brogli: fattore che darebbe a Trump un ragionevole motivo (se fondato) per non riconoscere la vittoria dell’avversario. Perfino le clamorose rivelazioni di Bob Woodward su un Trump reticente, a proposito della gravità del contagio Covid, potrebbero ancora una volta giocare a favore dell’attuale Presidente, dato che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica americana non ne ha mai voluto sapere di essere imprigionata in un lockdown generalizzato! Chi vivrà…


di Maurizio Guaitoli