Il destino della Bielorussia legato alla Russia

In Bielorussia le elezioni del 9 agosto, come già le precedenti, non sono state né libere né eque. Il fatto che l’Unione europea non riconosca i risultati delle elezione non è assolutamente determinante per la fine della dittatura di Alexander Lukashenko. Tuttavia il tramontante dittatore, il 23 settembre, con una pomposità questa volta circoscritta a pochi ed in un palcoscenico sociale tipico della fine delle dittature e non dissimile a quello della parabola discendente del dittatore romeno Nicolae Ceausescu, giustiziato il 25 dicembre 1989 (esempio non casuale), ha prestato giuramento senza che il popolo bielorusso ne fosse informato, ma soprattutto durante le accese proteste di piazza tormentate da arresti indiscriminati ed atteggiamenti oppressivi estremi. Così mercoledì scorso è iniziato formalmente il suo sesto mandato, questa volta all’ombra di un tramonto del potere. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e per la Politica di Sicurezza, Josep Borrell i Fontelles, ha dichiarato che sia l’elezione che il giuramento del Presidente bielorusso non hanno alcuna legittimità democratica, di conseguenza ogni azione diplomatica con la Bielorussia, già gravata da inutili sanzioni, è sospesa. Ha aggiunto Borrel che: “Questo giuramento contraddice direttamente la volontà di ampi segmenti della popolazione bielorussa, espressa in numerose manifestazioni pacifiche e senza precedenti e non farà che aggravare la crisi politica nel Paese”.

Tuttavia Alexander Lukashenko ha ignorato la decisione presa da diversi Stati di non riconoscerne la legittimità, dichiarando tramite un comunicato ufficiale dall’agenzia statale BeIta che: “Stanno urlando che non ci riconoscono, non abbiamo mai chiesto loro di riconoscerci, di riconoscere le nostre elezioni, di riconoscere il nostro presidente rieletto”, tale dichiarazione è stata fatta direttamente da Lukashenko, che ha parlato di se in prima persona plurale, come è sua consuetudine anche nelle visite ufficiali con la diplomazia cinese e che manifesta, insieme all’ostentazione di una alta uniforme militare, una visione forse patologica del suo egocentrismo. Assistiamo, in questi giorni, alla ennesima dimostrazione che in Europa di Unione c’è solo il nome, infatti fonti diplomatiche hanno fatto sapere che l’Ue ha preparato, come richiesto anche da Svetlana Tsikhanovskaya, avversaria di Lukashenko alle elezioni, sanzioni, sia contro circa 40 persone ritenute responsabili della repressione, sia contro Lukashenko. Tuttavia in questo caso per formalizzare le “sanzioni” è necessaria l’unanimità da parte degli Stati Membri e Cipro subordina il suo voto favorevole, all’adozione di misure atte a costringere la Turchia a cessare le sue perforazioni di gas nelle acque della zona economica cipriota.

Inoltre da altre fonti risulta che la Finlandia e la Svezia, rifiutano di sanzionare adesso Lukashenko per consentire la mediazione dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) che sarà presieduta dalla Svezia dal 2021, attualmente è presieduta da Edi Rama primo ministro dell’Albania; tale questione, decisamente articolata visti gli interessi trasversali in ballo di alcuni Stati dell’Unione, sarà discussa al vertice dei leader europei l’1 e 2 ottobre a Bruxelles. Anche Londra, tramite il suo ministro degli esteri Dominic Raab, ha dichiarato che inizialmente voleva aderire alle sanzioni dell’Unione Europea, bloccate per mancanza di unanimità degli Stati membri, ma che ora sta preparando, in coordinamento con Stati Uniti e Canada, sanzioni contro i responsabili della repressione del movimento di protesta contro il presidente bielorusso.

Sabato 26 settembre il Presidente francese Emmanuel Macron in una intervista al Sunday Journal ha dichiaro che il presidente della Bielorussia, Lukashneko, deve andarsene; ha ammirato la forza ed il coraggio dei manifestanti, lo sprezzo del rischio di manifestare in un regime dittatoriale e l’impegno per dare vita alla democrazia, dichiarando che: “Le donne, in particolare, che sfilano ogni sabato, esigono rispetto”. La ricerca di una soluzione non può prescindere dal ruolo determinante di Vladimir Putin, infatti risulta che Macron abbia già parlato con il Presidente russo il 14 settembre, il giorno in cui ha ricevuto Lukashenko a Sochi; nella conversazione il Presidente francese ha esortato Putin a far comprendere a Lukashenko la necessità di rispettare la verità delle urne e a rilasciare i prigionieri politici.

Tuttavia quello che sta accadendo in Bielorussia è la crisi del potere autoritario che non accetta la logica della democrazia e che si aggrappa con la forza a ogni aspetto che possa rendere illusoriamente più stabile la dittatura. Una dittatura che si divide tra “dittatura materiale” e “dittatura della Parola”, quest’ultima è presente anche in contesti apparentemente democratici e si nota soprattutto quando si ostentano, con “la dittatura della parola”, dei risultati che non coincidono con la realtà, come accade in appunto in Bielorussia, ma anche, purtroppo, “nell’Occidente” dalla democrazia in questo periodo blanda.

Aggiornato il 28 settembre 2020 alle ore 12:55