Africa occidentale: i golpe “democratici”

Nel Continente africano la regione occidentale si è distinta per una tendenza ad applicare principi di democrazia che altrove vengono ignorati. Nel Centro Africa la maggior parte dei capi di Stato ha la sventurata tendenza a trascinarsi nel restare al potere calpestando i diritti umani ed ignorando i desideri dei loro “sudditi”. Tuttavia in questi ultimi tempi, nonostante che l’Africa occidentale mostri ancora una incoraggiante vitalità democratica, si notano tendenze assolutiste che appannano quei fiochi principi di libertà che danno la possibilità al popolo di scegliere i propri rappresentanti.

Questa estate in Mali, uno dei paesi dove le elezioni avevano una apparente legittimità, un gruppo di militari ha cacciato dal potere il presidente Ibrahim Boubacar Keïta regolarmente eletto. Un cattivo esempio ed un brutto segno, per le prossime elezioni presidenziali che si svolgeranno in quell’Africa occidentale che sembrava più sensibile alla democrazia; cosi le votazioni che sono programmate il 18 ottobre in Guinea ed il 31 ottobre in Costa d’Avorio, potrebbero essere particolarmente significative per il rischio di una deriva antidemocratica.

La cappa del jihadismo saheliano interesserà sicuramente le elezioni programmate in Burkina Faso per il 22 novembre e quelle in Niger del 27 dicembre; inoltre ricordo il caso della dinastia Gnassingbé che domina il Togo da cinquantatré anni e quello del Benin, “signoreggiato” dal presidente Talon, che in nome di un immaginario sviluppo economico, sta gradualmente asfissiando quella sfiancata particolare democrazia che ancora viene ostentata con una Costituzione democratica.

Anche se oggi il golpe classico, quello fatto da un militare auto-graduatosi, con basco ed occhiali da sole è abbastanza superato, questi processi di democratizzazione in questa regione, hanno ormai odore putrescente. Il colpo di Stato del Mali potrebbe essere preso come vademecum per gli altri Stati della regione. Gli stessi militari maliani hanno chiarito che la loro missione era quella di deporre un presidente legalmente insediato dal voto delle urne, per rinnovare, con la volontà del popolo, un contratto democratico lacerato da una classe politica clientelare e corrotta. La frettolosa rielezioni di Ibrahim Boubacar Keïta nel 2018, celebrata in un Paese disastrato e scosso da attacchi jihadisti, non aveva rinfrancato le speranze del popolo; le successive elezioni amministrative di inizio 2020, accompagnate dalle rozze frodi perpetrate dal potere, hanno dato il colpo di grazia al percorso politico di Keïta.

Così il vasto movimento di protesta è stato cavalcato da un manipolo di militari che parlando “alla pancia” del popolo, spesso giovane, ozioso e annoiato dai suoi capi anziani, ha potuto riesumare questa involuzione democratica. Tuttavia lEcowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), che ingloba i quindici Stati della sotto regione occidentale africana e che non gode di buona “salute democratica”, ha cercato di fare fronte alla crisi del Mali, consapevole sia dei limiti del regime precedente, che dei rischi che possono scaturire dal legittimare un golpe militare.

Ricordo il caso degli accordi costituzionali verificatisi in Guinea e Costa d’Avorio, che di recente hanno adottato ciascuno una nuova Costituzione che consente ai presidenti uscenti, nella fattispecie lottantaduenne Alpha Condé ed il settantottenne Alassane Ouattara, di candidarsi per ulteriori mandati dipendenti solo dalla loro longevità.

LAfrica Center For Strategic Studies ha pubblicato, il 14 settembre, una breve ricerca dalla quale risulta che questa “elusione indebolisce la governance in Africa”; inoltre gli autori affermano che esiste un collegamento diretto tra la permanenza al potere ed il grado di corruzione nei regimi. Emerge anche, dalla lettura dello studio, che nove dei dieci Paesi africani che devono far fronte a conflitti interni, escluse le destabilizzazioni create dal terrorismo di matrice jihadista, sono quelli che non hanno limitato il numero di mandati presidenziali.

È evidente che anche il rispetto delle normative e la loro durata, sono fattori determinati per il mantenimento degli equilibri politici. Inoltre è l’equilibrio dei poteri dello Stato che è in ballo in un ambiente segnato dalla debolezza democratica; i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, la sicurezza, la pubblica Amministrazione, le forze armate ed i media, che dovrebbero essere istituzioni democratiche indipendenti, presentano dovunque carenze.

Quanto accaduto in Mali, con il golpe militare, dimostra la difficoltà di costruire un sistema democratico nel quadro di uno Stato debole, cosi come la strage in Costa dAvorio nel 2010, quando il presidente uscente, Laurent Gbagbo, si rifiutò riconoscere la vittoria del suo avversario Alassane Ouattara, o come in Guinea, dove un anno fa furono uccise decine di persone dalle forze di sicurezza durante le proteste organizzate contro il terzo mandato di Alpha Condé, tali rischi potrebbero ripresentarsi il 18 ottobre data delle elezioni.

Spesso le urne rappresentano una fonte di “decompressione sociologica” in comunità sotto tensione, ma la presenza di brogli e la carenza di equità e trasparenza, annullano leventuale sbocco pacifico di votazioni legittime, trasformandosi in prevedibili cause di violenza in grado di minare ulteriormente le fragili basi democratiche di questi paesi dell’Africa occidentale.

Da questa breve analisi potrebbe scaturire anche lidea che in molti casi, in Africa, votare meno possibile può garantire una stabilità sociale maggiore che votare spesso; tuttavia non stupisce che tale teoria, cioè la superfluità del voto, è ipotizzata anche da pseudo leader occidentali e “comicamente” anche nostrani.   

 

Aggiornato il 07 ottobre 2020 alle ore 13:55