Dalla guerra nel Caucaso alla tensione con la Francia: ecco i nuovi fronti della Turchia di Erdoğan

Seconda parte

Le dichiarazioni di Recep Tayyip Erdoğan non devono essere però prese per semplici farneticazioni finalizzate alla propaganda interna. Erdoğan intende davvero quello che dice. Lo ha già ampiamente dimostrato ed è ormai riuscito a farlo comprendere alla comunità internazionale, da cui in fin dei conti riesce sempre ad ottenere ciò vuole, specie dal suo tanto bistrattato Occidente, il quale nei confronti del sultano-dittatore-presidente che si è impadronito della Turchia ha assunto ormai stabilmente un atteggiamento di accondiscendenza, quando non di subordinazione.

Non risulta, ed è assai improbabile, che il segretario generale della Nato, Jans Stoltenberg, nella sua visita ad Ankara, abbia contestato ad Erdoğan, come avrebbe dovuto, l’incompatibilità con la Nato dell’esercito paramilitare di migliaia di estremisti che la Turchia continua a far ruotare liberamente tra Siria, Libia e Caucaso. L’Unione europea non ha avuto il coraggio di approvare alcuna sanzione per le violazioni delle acque territoriali della Grecia nel Mar Egeo operate dalla marina turca. Dulcis in fundo, viva l’Italia del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che nel pieno dello scontro Armenia-Azerbaijan ha incontrato a Roma il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, mentre la viceministra, Marina Sereni, rientrava guarda caso da una visita ufficiale nel Qatar degli emiri Al Thani, i fratelli musulmani “ricchi” di Erdoğan. Ordini ricevuti e ben compresi?

Con gli Stati Uniti impelagati nella campagna elettorale per le presidenziali e con Donald Trump “distratto” anche dalle proprie condizioni di salute, l’unico Paese a tenere testa alla Turchia di Erdoğan è la Francia di Emmanuel Macron. In Libia e nel Mar Egeo come nel Caucaso, dove Parigi ha confermato la sua posizione di vicinanza all’Armenia. Ma non è solo una questione di politica estera. Il confronto si è esteso sul versante domestico francese, dove la Turchia, con un comunicato del ministero degli Affari esteri, ha fortemente criticato la legge contro l’estremismo islamista annunciata da Macron, precisando che “l’attitudine che si cela dietro a questo progetto di legge condurrà a gravi conseguenze piuttosto che alla riduzione dei problemi della Francia”. Una minaccia?

In tal modo, Erdoğan ha aperto per la strada per un “intervento” di Ankara all’interno della Francia. La scusa è già pronta, quella solita dell’islamofobia già rilanciata su media e social networks da “intellettuali”, accademici, e attivisti filo-islamisti, che agitano lo spauracchio del razzismo e della xenofobia nei confronti di Macron, reo di aver dichiarato che “l’Islam è una religione in crisi”. Non stupisce che costoro abbiano omesso di considerare il discorso del presidente francese nella sua interezza. Macron ha infatti spiegato che la crisi è dovuta a un certo “indurimento estremista delle posizioni”. I Fratelli Musulmani l’evidenza non possono negarla, ma ignorarla sì. Di qui, le accuse strumentali di islamofobia.

La legge che Macron intende introdurre va in effetti a colpire quella che è la strategia dei Fratelli Musulmani nelle democrazie occidentali, volti a creare sacche d’islamismo non governate dallo Stato, ma da imam e leader radicali sulla base della Sharia, separatamente dal resto della società e del Paese. In Francia, tale strategia risulta a uno stadio avanzato d’implementazione, come documentato nel libro inchiesta Qatar Papers, e per questo che la legge in procinto di avviare il suo iter di approvazione parlamentare è stata denominata “contro il separatismo”.

Il malcontento della Turchia di Erdoğan è pertanto comprensibile e certo che approfitterà della vicenda per colpire la Francia dal di dentro, soffiando sul fuoco della tensione interna, come accaduto più volte in Germania, ma in maniera molto più destabilizzante in ragione degli alti livelli di antagonismo con Parigi. C’è da scommettere che Erdoğan già si vede allo specchio mentre guida gli islamisti in territorio francese alla rivolta contro il sistema che opprime i (fratelli) musulmani. Dal Caucaso alla Francia il passo è breve e non c’è ancora nessuno in grado di fermare il cammino delle guerre di Erdoğan.

(*) Qui per leggere la prima parte

Aggiornato il 07 ottobre 2020 alle ore 11:52