La pace in Libia non interessa alla Turchia

Venerdì 23 ottobre a Ginevra, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stato siglato un accordo di “cessate il fuoco” tra i contendenti libici, ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan lo considera poco credibile. Ci sono voluti solo cinque giorni di discussioni per raggiungere un’importante intesa tra il Governo di Tripoli, rappresentato dal Gna (Governo di Accordo Nazionale), riconosciuto e voluto dalla comunità internazionale e le autorità orientali alleate del maresciallo della Cirenaica, Khalifa Haftar. La cerimonia della firma, trasmessa in diretta su internet e organizzata nella sala del palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra, sede tradizionale per le riunioni periodiche della Conferenza sul disarmo, è durata una decina di minuti ed è stata seguita da una lunga ovazione.

Stephanie Williams, capo facente funzione della Missione di appoggio delle Nazioni Unite in Libia (Manul), ha operato con impegno per raggiungere questo risultato. L’effetto immediato e permanente dell’accordo sul “silenzio delle armi” è stato annunciato dal portavoce del Manul, che ha dichiarato: “Le parti libiche hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco permanente in tutta la Libia”. È evidente che questo risultato potrebbe rappresentare un importante punto di svolta per gli equilibri geopolitici nel suo complesso, essendo interessati alla Libia le maggiori potenze mondiali. Stephanie Williams ha esaltato questa intesa, che ricordo è stata preceduta da accordi internazionali, ovviamente celebrati non in forma ufficiale, sottolineando che la giornata odierna segna un passo importante per il popolo libico. I rivali hanno concordato che le unità militari e i gruppi armati, posizionati in prima linea, dovranno ritirarsi nelle rispettive basi; inoltre è stata affrontata anche la delicata questione dei mercenari, sia quelli sotto il comando turco, siriani, che i mercenari del Wagner filorussi, tutti dovranno uscire dal territorio libico – terra, aria e mare – entro i prossimi tre mesi a partire dal 23 ottobre.

Tuttavia, si sono manifestate subito divergenze nelle reazioni a questo “accordo”. Infatti, l’Unione europea tramite Peter Stano, portavoce del capo della diplomazia europea Josep Borrell, ha accolto l’annuncio del cessate il fuoco come “una buona notizia, ma anche la sua attuazione è importante, perché sarà la chiave per la ripresa dei negoziati politici”, contrariamente ai rappresentati turchi, che sono stati fondamentali in questa operazione, ma che l’hanno giudicata di basso contenuto. “L’accordo di cessate il fuoco di oggi non è stato raggiunto al massimo livello, ma a un livello inferiore e sembra mancare di credibilità”, così ha detto ai giornalisti a Istanbul il presidente turco Erdogan.

La diplomazia francese, altro attore essenziale di questo negoziato, tramite il portavoce del ministero degli Esteri, Agnès von der Mühll, ha salutato l’accordo definendolo un ottimo punto di stabilità che mostra l’aspirazione all’unità, alla sovranità di tutti i libici di fronte alle interferenze esterne. Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha definito l’accordo “il primo decisivo successo, una buona base per il prossimo sviluppo di una soluzione politica”. Così anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha esortato gli attori regionali a rispettare le disposizioni dell’accordo di cessate il fuoco e ad assicurare la sua applicazione senza indugio. A metà della settimana scorsa le parti belligeranti, presenti a Ginevra, avevano già concordato la riapertura delle principali vie di comunicazioni in Libia, come anche i collegamenti aerei tra i maggiori aeroporti libici che, dopo l’offensiva lanciata tra aprile 2019 e giugno 2020 dall’esercito di Haftar con lo scopo di occupare, invano, Tripoli, erano stati interrotti; così il ripristinato collegamento tra le città dell’est e dell’ovest ha permesso a molte famiglie libiche, divise dagli schieramenti interni, di potersi riunire creando quel clima di moderata distensione necessario al processo di pacificazione.

Stephanie Williams ha anche affermato che mercoledì 21 ottobre i rappresentati libici hanno concordato di aumentare la produzione di petrolio, chiedendo ai rispettivi comandanti militari, che hanno l’incarico di coordinare le guardie degli impianti di estrazione, di collaborare con il rappresentante della National oil corporation (Noc, società pubblica), facente parte dell’Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), al fine di riorganizzare le squadre armate a guardia dei pozzi. Oggi detti gruppi di guardia sono composti da membri armati poco identificabili e con mutevoli alleanze, dovranno essere ricondotti sotto il controllo del ministero della Difesa. Haftar, già da settembre, aveva permesso la revoca dell’estrazione del petrolio dai pozzi presenti nell’area di suo controllo, alla condizione di ottenere un’equa ripartizione delle entrate. Infatti, come afferma il Noc, il blocco partito a gennaio ha causato una perdita di entrate per oltre 9,8 miliardi di dollari. Altro fattore importante deciso e accordato tra le parti libiche è la fine della retorica dell’odio, diffusa tramite i media ma soprattutto via social network, che fomentavano divisioni sociali ed etniche inesistenti.

Sicuramente, lo spirito patriottico sarà una delle linee da seguire per rafforzare le basi per una pace duratura ed un accordo nazionale; i rischi che possiamo individuare in questo orizzonte sono dati dai “progetti turchi” che non prevedono che la Libia possa definire autonomamente il suo destino e che infrangerebbe le ambizioni di Erdogan di vederla governata da un suo beilerbei (governatore regionale ottomano). Altro fattore di riflessione è quello che vede oltre seimila mercenari siriani filoturchi perdere lavoro in Libia; chiuso il fronte libico potrebbero essere dirottati sul fronte caucasico verso il Nagorno Karabakh la cui popolazione armena a fatica cerca di staccarsi definitivamente dall’innaturale stretta con Arzerbaigian, per magari ristabilire l’atavica unione con la sua “naturale e legittima famiglia”, quella dell’Armenia. In ultima analisi, da quanto visto a Ginevra, emerge la tragica e cronica assenza della diplomazia nazionale.

Aggiornato il 26 ottobre 2020 alle ore 09:53