Mozambico: la nuova frontiera del jihadismo

Analizzando le dinamiche che interessano il fenomeno jihadista, possiamo riscontrare che tali gruppi eversivi impiegano circa tre anni a radicarsi sui territori “vergini” che ritengono interessanti, questo è successo anche in Mozambico dove il jihadismo è comparso nel 2017. Questa ex colonia portoghese che ha raggiunto l’indipendenza formalmente nel 1975, sta affrontando, da allora, una crisi economica che la colloca tra gli stati più in sofferenza dell’Africa. L’alta percentuale di cristiani, quasi il sessanta per cento, circa il diciassette per cento di musulmani, il resto diviso tra atei ed animisti, ne fanno uno Stato agile dal punto di vista del “credo”, più stabile da quello politico. Nell’articolato panorama mozambicano si registra, in questi ultimi tempi, nell’estremo nord del Paese, un incremento dell’infiltrazione e del radicamento jihadista, con tutta la sua “virulenza”.

Il jihadismo mozambicano, come processo di radicamento, ricorda quello del gruppo islamista di Boko Haram in Nigeria; ambe due i gruppi si sono localizzati nella regione nord dei rispettivi stati ed in aree periferiche. I terroristi mozambicani in questi ultimi tre anni hanno ucciso quasi duemilacinquecento persone in almeno settecento attacchi, concentrati soprattutto nella provincia di Cabo Delgado la più settentrionale del Paese. Inoltre, jihadisti dello Stato islamico (Is), nei primi giorni di novembre, hanno compiuto nuovi attacchi nei poveri villaggi del nord del Paese; molti media locali come The Pinnacle e Mediafax, hanno comunicato che almeno cinquanta persone sono state uccise in incursioni perpetrate da estremisti legati all’organizzazione dello Stato islamico. La prassi adottata non si discosta da quella usata dalle altre formazioni jihadiste, infatti l’imposizione del terrore si è manifestata con massacri, con la distruzione di villaggi, come quello di Aldeia da Paz, con stupri e con il rapimento di ragazzi e ragazze ciascuno con destinazioni specifiche: allievi jihadisti e “procreatrici”; ad aprile avevano anche decapitato alcune decine di giovani che si erano rifiutati di unirsi nei loro ranghi. I jihadisti mozambicani hanno organizzato la loro attività terroristica inserendosi nella rete del jihadismo africano; l’occupazione, per brevi periodi, di alcuni centri abitati cruciali nella provincia di Capo Delgado ed l’avere attaccato basi militari del posto, spesso con successo, li ha connotati come forza con cui la popolazione deve ormai fare i conti: come il condizionamento sociale ed il proselitismo religioso imposto in una comunità multi-credente ma con una base animista che li rende generalmente non estremisti nelle loro manifestazioni di fede.

Tale situazione non molto diffusa a livello mediatico globale, ha comunque allertato le autorità internazionali, infatti Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, martedì dieci novembre ha chiesto di aprire un’indagine sui fatti. Il suo portavoce in una nota ha comunicato che: “Il segretario generale è scioccato dalle recenti notizie di massacri da parte di gruppi armati terroristici avvenuti in diversi villaggi; tra cui la decapitazione e il rapimento di donne e bambini”. Tuttavia, al momento non risulta che il Governo del Mozambico abbia istituito commissioni di inchiesta ad hoc. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso la sua indignazione, pubblicando sul suo account Twitter: “I barbari stanno dirottando una religione di pace per seminare terrore: il terrorismo islamista è una minaccia internazionale che richiede una risposta internazionale”.  Secondo l’Ong Armed conflict location & Event data group con sede negli Stati Uniti, in questi ultimi tre anni gli attacchi di terroristi islamici, variamente legati allo Stato islamico, oltre ad avere causato la morte di alcune migliaia di persone hanno creato anche circa quattrocentomila sfollati. Non ritengo casuale l’interesse di questi gruppi terroristici per questa area al nord dello Stato, in quanto se poco appetibile perché estremamente povera e desolata, è comunque notoriamente ricca di risorse di gas che stanno già dando interessanti profitti. La destabilizzazione sociale causata nella provincia di Capo Delgado, considerata la nuova El Dorado del gas, è uno strumento per condizionare il Governo che gestisce le risorse, tramite intermediari, a scendere in qualche modo a compromesso con il jihadismo, che così può attingere, usando varie strade, ai fondi necessari alla sua crescita. E va detto che “le strade” il jihadismo le conosce tutte.

 

Aggiornato il 21 novembre 2020 alle ore 10:57