Accordi sul controllo degli armamenti: vicini al “de profundis”

Gli Stati Uniti sono usciti ufficialmente dal “Trattato cieli aperti” (Open Skies), sei mesi dopo i primi annunci del presidente Donald Trump al riguardo. Gli Usa hanno già abbandonato lo scorso anno, facendolo decadere, il “Trattato Inf” (Intermediate-range nuclear forces) in forza del quale Stati Uniti e Russia (in precedenza Urss) non potevano disporre di missili con potenzialità nucleari aventi una gittata compresa tra 500 e 5.500 chilometri. L’Amministrazione americana ha accusato Mosca di frapporre troppi ostacoli alla piena operatività del Trattato Open Skies. Tale accordo, nonostante sia stato inizialmente sottoscritto nel 1992, dopo la caduta dell’Unione sovietica, è figlio di quella lunga ma progressiva stagione di avvicinamento e fiducia tra le due superpotenze di allora, protagoniste del confronto bipolare del secondo dopoguerra. La trasparenza fu l’architrave di quel processo che contribuì agli epocali mutamenti geopolitici della fine degli anni ‘80 ed ebbe nella dichiarazione di Helsinki del 1975 la posa della “prima pietra”. Questo documento, che chiuse la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, sottoscritto da trentacinque Stati (quasi tutti gli europei più Usa, Urss e Canada), pose anche le basi per la nascita dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, con sede a Vienna) che oggi pare essere la sola Organizzazione multinazionale che può vantare una qualche reale capacità di mediare nei conflitti e flemmatizzare situazioni di crisi, grazie a strumenti operativi meno burocratizzati e verticalizzati di quelli delle Nazioni Unite.

La firma del trattato Open Skies fu di poco preceduta dall’approvazione di un altro accordo fondamentale, ma realizzato con lo stesso spirito e con pari finalità: il “Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa”, noto come Cfe. Quest’ultimo, sottoscritto inizialmente dai paesi della Nato e del Patto di Varsavia, poi confermato nel 1992, limitò il numero di armamenti pesanti, di elicotteri e di aerei da combattimento di cui ogni Paese poteva disporre, obbligando i contraenti a segnalarne periodicamente la posizione e a notificare tutte le esercitazioni di una certa rilevanza. Un insieme di accordi, dunque che miravano a garantire alle parti contrapposte attività militari trasparenti ed un continuo monitoraggio, onde vanificare azioni di sorpresa ed attacchi senza preavviso, gli unici, in un contesto nucleare, con qualche possibilità di reale successo. La Russia ha sospeso la sua partecipazione al Trattato Cfe nel 2007, denunciando lo squilibrio di forze venutosi a creare con l’adesione al Patto Atlantico di Paesi prima aderenti al Patto di Varsavia. Il Trattato Open Skies in vigore fino a qualche giorno fa, ma con meno attività che in passato, permetteva il sorvolo, con un preavviso di 72 ore, con aerei dotati di varie tipologie di sensori, del territorio di uno dei Paesi contraenti, secondo rigide procedure specificate nel Trattato stesso. Lo scopo era, chiaramente, consentire voli ispettivi miranti a verificare l’inesistenza di attività militari minacciose ed il riscontro delle notifiche e delle dichiarazioni fornite nel quadro di altri accordi.

Ora che anche il Trattato Open Skies è stato stracciato, dunque, si annullano gli sforzi nel controllo armamenti realizzati in decenni di trattative, mediazioni e confronti diplomatici. I dubbi ed i sospetti reciproci, prima mitigati con tali accordi, potrebbero innescare valutazioni errate e reazioni spropositate, considerando anche il periodo caratterizzato da un eccesso di false notizie. I progressi realizzati nelle tecnologie satellitari non paiono in grado di surrogare formule e procedure che avevano anche nel contatto diretto uno dei pilastri della fiducia reciproca. Tutto questo avviene alla vigilia di un nuovo confronto tra Washington e Mosca per l’eventuale estensione del New Start (il Trattato sulla riduzione delle armi strategiche) firmato a Praga nel 2010 e che andrà a scadenza nel febbraio del prossimo anno. Tale accordo Usa–Russia limita a 1.550 il numero di testate atomiche per parte. Questo Trattato valse all’ex presidente, Barack Obama, il premio Nobel per la pace e, fino ad ora, si è registrata una costante contrarietà dell’attuale inquilino della Casa Bianca agli atti del suo predecessore, soprattutto in politica estera. Palese l’intenzione del presidente Trump di lasciare anche tale accordo, ma si sa che il nuovo anno porterà un nuovo inquilino alla Casa Bianca.

(*) Tratto da “Il Nodo di Gordio

Aggiornato il 27 novembre 2020 alle ore 10:15