Falsificazioni religiose al centro del conflitto del Nagorno-Karabakh

martedì 1 dicembre 2020


Le ultime settimane hanno visto un’enorme attenzione mediatica dedicata al conflitto del Nagorno Karabakh. Un appello ad una soluzione pacifica è giunto anche da Papa Francesco, così come da numerosi paesi e organizzazioni internazionali. La dichiarazione, firmata il 10 novembre scorso tra il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan e il presidente della Russia, Vladimir Putin, impegna il ritorno di tutti i territori occupati militarmente dall’Armenia all’Azerbaigian, così come riconosciuto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni dell’Onu. Quello che l’informazione sembra trascurare è cosa stia accadendo nei territori liberati e quali sono le prospettive geopolitiche e sociali nell’immediato futuro. Negli ultimi giorni sta trovando una centralità mediatica la questione dei monumenti religiosi nei territori liberati dall’occupazione armena, iniziata dal caso del monastero Dadivank nel distretto di Kalbajar, che gli armeni stanno abbandonando. Il distretto di Kalbajar, a differenza da quanto divulgato dalla parte armena, non sta “passando” all’Azerbaigian, ma è uno dei 63 distretti dell’Azerbaigian e uno dei sette distretti intorno al Nagorno Karabakh (non del Nagorno Karabakh), occupati per quasi 30 anni dalle forze militari armene e che ora viene restituito all’Azerbaigian, a cui giuridicamente appartiene. Sarebbe opportuno anche approfondire le origini storiche di questo tempio, il cui nome originario è Khudaveng, ma è anche menzionato in fonti scientifiche come Dadivang e Khutavang. In realtà è una creazione dell’epoca cristiana del periodo dell’Albania Caucasica, nel territorio dell’Azerbaigian, e a dispetto di quanto spesso affermato non ha alcun legame storico e architettonico con il popolo armeno. Il primo edificio del complesso è la Basilica Antica, che risale ai secoli VIII-IX. L’edificio fu costruito sulla tomba dell’apostolo Dadi, che venne a predicare il cristianesimo su ordine di San Faddey e fu ucciso da un giudice locale di nome Abgar. Il complesso del monastero albanico di Khudaveng è costituito sostanzialmente dalla chiesa Arzu Khatun e dalla chiesa di Hasan. Bisogna ricordare che i Trattati di Gulustan (1813) e di Turkmanchiay (1828) firmati tra l’impero russo e l’impero persiano, stabilirono l’incorporazione in Russia di tutti i khanati azerbaigiani del nord, dal fiume Araks, incluso il khanato del Karabakh, così come il trasferimento dall’Iran degli armeni in questi territori. Nel 1836, con il decreto di Nicola I, la Chiesa dell’Albania Caucasica fu completamente abolita e le sue giurisdizioni furono subordinati direttamente alla chiesa Apostolica Armena. Non sorprende dunque che questo tempio albanico, che si trova nel territorio dell’Azerbaigian, sia stato oggetto di armenizzazione, attraverso l’alterazione di elementi architettonici.

Al centro della questione del monastero Khudaveng-Dadivank, degli ultimi giorni, vi è anche la figura che si presenta con il nome di Padre Ovanec, abate del monastero, che, nell’esprimere il suo amore per tale luogo, dimentica di raccontare come egli stesso abbia combattuto negli anni Novanta contro il popolo azerbaigiano, macchiandosi di documentati crimini di guerra. Questo abate afferma che oggi si deve “dare queste terre a una nazione che non comprende il valore e la santità delle stesse”. Ciò a cui bisognerebbe dare grande risalto è che l’Azerbaigian ha assicurato che i santuari cristiani del Karabakh saranno custoditi e aperti ai fedeli, in linea con il suo essere Paese multinazionale e multiconfessionale. Come ha dichiarato il presidente dell’Azerbaigain, le porte di questi santuari saranno aperte a tutta la popolazione cristiana dell’Azerbaigian. A tal proposito il ministero della Cultura dell’Azerbaigian ha diramato una dichiarazione il 13 novembre, in cui veniva evidenziato che“in quanto Paese multiculturale e multireligioso, l’Azerbaigian è sempre stato la patria di rappresentanti di tutte le nazioni e religioni, che hanno convissuto e lavorato insieme pacificamente per secoli; lo stato mostra la dovuta attenzione verso la protezione, il restauro e la ricostruzione del proprio patrimonio culturale. La grande comunità cristiana nel nostro paese è parte integrante e attiva della nostra società, e i loro monumenti e luoghi di culto, le chiese, sono completamente protetti dallo stato azerbaigiano e vengono regolarmente restaurati. Non è un caso che durante la sua visita in Azerbaigian nell’ottobre 2016, Papa Francesco abbia elogiato l’Azerbaigian, come Paese modello per il mondo in tema di tolleranza religiosa. Il restauro e la ricostruzione dei nostri monumenti storici e religiosi, comprese chiese e sinagoghe, è parte integrante della politica perseguita dallo Stato azerbaigiano in questo settore.

Nonostante l’occupazione per 30 anni del 20 per cento dei territori storici dell’Azerbaigian da parte dell’Armenia, il popolo azerbaigiano, durante tutto questo periodo, ha conservato la chiesa armena nel centro di Baku, dove vengono conservati circa 5mila testi in lingua armena e che è inserita nel registro Nazionale dei monumenti storici dell’Azerbaigian. Ciò che invece la liberazione dei territori sta dimostrando è la spietata distruzione da parte dell’Armenia di tutti i reperti storici che vi si trovavano, oltre ad aver dipinto con i propri nomi e cognomi le pareti del monastero di Khudaveng-Dadivank, tempio cristiano dell’epoca dell’Albania Caucasica. Anche la chiesa ortodossa russa costruita nel 1894 nel villaggio di Kuropatkino del distretto di Khojavend è stata distrutta dagli armeni, mentre la chiesa ortodossa russa di Shusha è stata armenizzata, dopo l’occupazione militare armena. Sulla questione è intervenuto anche l’Arcivescovo della Chiesa Ortodossa Russa di Baku e dell’Azerbaigian, Alexander Ishchein: “Per 30 anni, durante l’occupazione armena, molti monumenti storici e religiosi in Karabakh sono stati completamente trascurati. Purtroppo, abbiamo ricevuto informazioni sulle cattive condizioni delle chiese ortodosse nei territori liberati. Ad esempio, l’aspetto esterno e interno della chiesa ortodossa di San Giovanni Battista a Shusha è stato modificato. Durante questi anni è stata armenizzata. La cupola e le cupole dei campanili sono state rimosse, mentre sono stati inseriti gli attributi della Chiesa armeno-gregoriana. Come si può fare una cosa simile?!.

Padre Alexander ha anche espresso la sua opinione sullo stato della chiesa ortodossa nel villaggio di Kuropatkino, nel distretto di Khojavend, liberata dall’occupazione armena: “Mi hanno mostrato fotografie della chiesa della Trasfigurazione del Signore a Khojavend. Versa in uno stato terribile. Nella foto del periodo sovietico si vede un bellissimo tempio, e adesso ci sono solo quattro mura ricoperte di erbacce e alberi. Ci vogliono almeno 10-20 anni perché gli alberi crescano sulle pareti del tempio”, ha ribadito il rettore della Chiesa ortodossa dell’Azerbaigian. Padre Alexander ha sottolineato le molte menzogne nella propaganda armena diretta contro l’Azerbaigian e ha invitato le organizzazioni internazionali coinvolte nella conservazione dei monumenti culturali a prestare attenzione a questo aspetto. In questi giorni, vengono mostrate immagini di rari reportage nei distretti liberati, dove per decine di km si incrociano soltanto villaggi fantasma, territori devastati, cimiteri islamici profanati, moschee interamente distrutte e altre divenute stalle per gli animali. Tali atti sono importanti per comprendere che quanto accaduto nel Nagorno Karabakh non è una problematica di religione. La verità è che, la stessa parte armena ha modificato e ha distrutto i monumenti cristiani nella regione, elaborando false accuse contro l’Azerbaigian.

Baku ha fatto la sua parte per smentire la tesi della “guerra di religione”. L’Azerbaigian ha infatti solennemente espresso la sua volontà di tutelare il patrimonio culturale cristiano dei territori di cui ha ripreso il controllo. L’opera di valorizzazione del patrimonio storico e culturale continuerà anche nei territori del Nagorno Karabakh, ritornati nuovamente all’Azerbaigian, e la veridicità di tali atti sarà facilmente riscontrabile, con la riapertura dei territori al turismo internazionale, così da poter visionare il secolare rispetto della cultura azerbaigiana nei confronti di ogni etnia, fede e religione del nostro Pianeta. In questi giorni, molti media presentano in modo drammatico la partenza degli armeni dai territori restituiti all’Azerbaigian. Tuttavia, la maggior parte dei media tace sul fatto che questi armeni siano stati reinsediati illegalmente in questi territori dopo l’occupazione militare di quelle aree, all’inizio degli anni Novanta, e che siano stati sistemati nelle case degli azerbaigiani da lì espulsi. Assistiamo a scene in cui la popolazione armena estrae dalle case illegalmente occupate i propri beni, incluse porte e finestre, portando con sé quanto può, mentre abbatte alberi, brucia e distrugge tutto ciò che non è in grado di trasportare, incluse le mura delle case, senza risparmiare neppure gli animali domestici. Anche se queste persone ammettono apertamente di vivere lì da soli 20 anni, nessuno gli chiede dove vivessero prima e perché siano stati sistemati in questi territori. Nessuno sembra ricordare in che condizioni e in che modo oltre un milione di azerbaigiani sono stati cacciati dalle proprie terre all’inizio degli anni Novanta, e che gli stessi sono fuggiti dalle proprie case solo per salvare la vita. Il popolo dell’Azerbaigian sta semplicemente tornando nelle proprie storiche abitazioni.


di Domenico Letizia