Israele si difende, con o senza gli Stati Uniti

mercoledì 2 dicembre 2020


Dopo il generale Qassem Soleimani, ucciso all’inizio dell'anno a Baghdad tramite un blitz americano, il regime iraniano perde un’altra figura di spicco, impegnata nel controverso programma nucleare caro agli ayatollah. Lo scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh, considerato dall'intelligence Usa e da Israele la mente dei piani segreti di Teheran, è stato vittima, mentre si trovava a bordo della propria auto, di un agguato compiuto nelle vicinanze della capitale iraniana ed effettuato con un’esplosione e diverse armi da fuoco. Fakhrizadeh era anche un alto ufficiale dei Guardiani della rivoluzione dell’Iran. Costui era praticamente a capo del progetto nucleare e la sua eliminazione segna senz’altro una battuta d’arresto per le ambizioni della Repubblica islamica. Ciò non può che essere visto in maniera positiva perché le rassicurazioni iraniane sull’uso dell’energia nucleare a fini pacifici rimangono ben poco credibili, e tanto gli Stati Uniti quanto Israele pensano giustamente che a Teheran si lavori in contemporanea su due piani diversi.

C’è la versione “pacifica” del programma atomico da dare in pasto all’Occidente e quella segreta, con finalità soltanto militari ed offensive. Mohsen Fakhrizadeh era immerso sino al collo nella seconda opzione, quindi, come è successo per il generale Soleimani, non è stato ucciso un innocente, magari un innocuo esponente della scienza. I dubbi sulle possibili e numerose bugie da parte della teocrazia iraniana rimangono più che legittimi, visto che nemmeno l’accordo internazionale del 2015, voluto fortemente dall’allora presidente americano Barack Obama, riuscì a dissipare tutte le perplessità. L’intesa caldeggiata da Obama si rivelò debole perché caratterizzata da una concessione di fiducia, per così dire, a scatola chiusa. Insomma, ci si accontentò delle poco limpide promesse del regime iraniano, senza andare troppo a fondo circa i reali obiettivi del programma nucleare, ed infatti, successivamente, Donald Trump ha provveduto a stracciare quell’accordo.

L’Iran accusa Israele per l’eliminazione di Fakhrizadeh, ma da Gerusalemme, come anche da Washington, non sono giunte particolari reazioni. In ogni caso, è evidente come lo Stato ebraico sia il primo Paese del mondo a correre dei seri rischi di fronte ad un Iran eventualmente irrobustito da armamenti nucleari, quindi Israele ha tutto l’interesse, fondato e legittimo, a contribuire all’indebolimento delle mire nucleari di Teheran. Da parte israeliana vi è anche il bisogno di mandare un messaggio agli Stati Uniti, soprattutto agli Usa del probabile successore di Donald Trump. Non sveliamo alcun mistero se affermiamo che Joe Biden si muoverà quasi certamente in continuità con l’approccio e le politiche di Barack Obama, quindi, a differenza degli ultimi quattro anni caratterizzati, grazie a Trump, da una rinnovata e forte sintonia fra gli Stati Uniti ed Israele, segnata da una mossa importante come il trasferimento a Gerusalemme dell’ambasciata americana, è ipotizzabile che l’America di Biden e di Kamala Harris ritorni ad una sorta di equidistanza tra lo Stato ebraico e chi lo vuole cancellare. È possibile quantomeno una maggiore freddezza da parte di Washington circa le esigenze israeliane, perciò Israele vuole e deve chiarire da subito, dinanzi agli Usa e al resto del mondo, che la propria sicurezza non è negoziabile, e se essa viene minacciata, la reazione e l’autodifesa non necessitano dell’autorizzazione di nessuno, nemmeno degli storici alleati americani.


di Roberto Penna