In Cambogia scattano i processi contro i membri dell’opposizione

venerdì 4 dicembre 2020


Il 26 novembre ha avuto inizio, nella capitale della Cambogia Phnom Penh, un processo politico nei confronti di 140 membri del Partito di Salvezza nazionale cambogiano (Cnrp), ufficialmente sciolto dopo una sentenza della Corte costituzionale nel 2017, con una mossa definita come un percorso teso alla “fine della democrazia”. In Cambogia, eliminando l’intera opposizione democratica, l’attuale regime al Governo consolida la propria posizione autoritaria e conferma il percorso intrapreso in violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e dello Stato di diritto. Questa decisione, seguita dall’arresto del Presidente del Cnrp Kem Sokha, tutt’ora oggetto di libertà condizionata e limitazione di movimento, ha provocato un esodo della maggior parte della leadership del Partito, tra cui il membro onorario del Partito Radicale Sam Rainsy e la vicepresidente del Cnrp, iscritta al Partito Radicale, Mu Sochua. Gli esiliati non hanno mai rinunciato alla lotta per la democrazia e lo Stato di diritto nel loro Paese e continuano, instancabilmente, a lavorare presso le Istituzioni nazionali, internazionali e onusiane affinché i loro diritti siano ripristinati e rispettati. L’anno scorso, Sam Rainsy aveva annunciato il suo ritorno nel Paese, in un tentativo di dialogo con il regime di Hun Sen, senza però riuscire in tale direzione a causa del blocco posto dal dittatore Hun Sen, al potere da oltre trent’anni. Oggi, chiunque abbia espresso sostegno a quel tentativo si ritrova in tribunale con accuse di tradimento, incitamento al disordine pubblico e altri reati correlati. A causa delle continue violazioni dei diritti fondamentali e del diritto internazionale, la Cambogia ha visto la sospensione delle preferenze commerciali accordate dall’Unione europea. La misura, che interessa circa il 20 per cento dell’export cambogiano, calcolato intorno ai 934 milioni di euro, verso la Ue, è stata adottata per le ripetute violazioni dei diritti umani compiute dal governo di Hun Sen.

In particolare, le istituzioni europee hanno sanzionato Phnom Penh per la messa al bando del principale partito d’opposizione e per l’incriminazione del suo leader Kem Sokha. Senza le agevolazioni tariffarie, la fiorente industria cambogiana del vestiario rischia un secondo, duro contraccolpo. Già colpito dalla pandemia di coronavirus, il settore rischia di perdere quote di mercato a favore del Bangladesh, altro importante Paese commerciale dell’area che gode delle esenzioni tariffarie da parte dell’Unione europea. In risposta alla decisione intrapresa dell’Unione europea, il dittatore Hun Sen ha avviato una serie di negoziati per concludere un accordo di libero scambio con la Cina. Per gli esperti di geopolitica ed economia, l’intesa con Pechino ha un valore strettamente simbolico, incentrato sul commercio di prodotti agricoli, e non avrà alcun impatto sui 900mila lavoratori impiegati nel comparto dell’abbigliamento che continueranno a subire limitazioni economiche e danni commerciale. Un Paese che rischia il crollo istituzionale. Nel solo 2019 hanno subito condanne e sono finiti in arresto almeno 48 attivisti dell’opposizione democratica, con l’accusa di complotto nei confronti del Governo, attivisti accusati di voler rovesciare il governo del primo ministro Hun Sen. Temendo di finire in carcere, decine di oppositori sono fuggiti dal Paese, ma hanno promesso di tornare per sostenere Rainsy. La Comunità europea e i Paesi occidentali non devono far calare l’attenzione su ciò che va innescandosi in Cambogia e per la preoccupante deriva autoritaria che le istituzioni nazionali hanno intrapreso.


di Domenico Letizia