La morte dell’Ambasciatore, le ipotetiche verità nascoste

Che la morte dell’Ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, probabilmente “vittima collaterale”, fosse poco chiara, è emerso subito, soprattutto grazie ad una serie di notizie date sui principali media che descrivono, senza fornire le fonti, una vicenda forse lontana dalla realtà.

La verità sulla dinamica dell’attentato è abbondantemente documentata da foto e testimonianze dirette date, senza alcuna reticenza, da chi era presente e contattabile, ma perché l’Ambasciatore italiano in Congo si trovasse su quella rotta, per le autorità congolesi, è sicuramente meno chiaro. Premettendo che per conoscere la realtà dei fatti sarebbe necessario “stanziare” per un po’ di tempo in loco, se leggiamo le precoci analisi degli addetti all’indagine congolesi, ci potremmo avvicinare a comprendere, quantomeno, una realtà poco nota ai più e mal percepibile in generale.

Tanto per iniziare va detto che l’ambasciatore è andato ad est della Repubblica democratica del Congo raggiungendo Goma, dove il governatore del Nord Kivu non era minimamente a conoscenza del suo arrivo e non risulta fosse stato formalmente informato della missione di Attanasio; inoltre, il commissario di polizia della città di Goma ed il Maggiore di Stato dell’esercito del Nord Kivu, non erano nemmeno informati della missione legata al Programma alimentare mondiale (Pam). Lo scopo dell’Ambasciatore era quello di patrocinare, anche fisicamente, il Programma alimentare mondiale o World food programme (Wfp), al fine di consegnare cibo ed altro materiale necessario, nell’area del monte vulcanico Nyiragongo situato a circa 25 chilometri a nord del Lago Kivu e della città di Goma e a poca distanza dal critico confine con il Ruanda.

Le autorità locali, anche governative, che in queste ore sono sotto pressione della politica e delle critiche internazionali a causa dell’apparente pressapochismo manifestato nel non dare protezione al diplomatico italiano ed al suo entourage, stanno valutando alcuni fattori e si stanno ponendo alcune domande che di seguito riporto: “Che tipo di paternità intercorreva tra l’ambasciatore e il Pam? Perché l’ambasciatore ha nascosto la sua missione di lavoro ai funzionari provinciali? Perché non eravamo a conoscenza della sua visita o dell’arrivo del Pam? Perché l’ambasciatore ha scelto di andare da solo nella zona della morte dove le Forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc) non hanno ancora pacificato la regione?”. Secondo le autorità locali, le risposte a queste domande provano a sufficienza che c’era una missione sospetta, una missione clandestina che l’ambasciatore stava per compiere nell’Est, con la motivazione di “accompagnare” gli operatori del Pam.

Inoltre, la domanda che si pongono i congolesi è: “perché gli addetti al Pam e accompagnatori vari, non volevano essere scortati dalle Fardc fino a destinazione?”. Aggiungendo la perplessità sulla motivazione del “perché questi ambasciatori non vanno in altre province del Paese e solo all’est della Repubblica democratica del Congo, perché non visitare e sostenere le province del Bandundu, Équateur, Kasaï dove c’è una devastante carestia?”. Va aggiunto che le riflessioni delle autorità locali congolesi si avventurano nel sostenere che “l’80 per cento degli ambasciatori accreditati presso la Repubblica democratica del Congo contrabbandano minerali nell’est del Paese, ed hanno, conseguentemente, rapporti con i ribelli”.

Le considerazioni terminano con una sorta di avvertimento: “Cari diplomatici, smettete di contrabbandare minerali ad est perché è molto pericoloso e rafforza l’insicurezza nel nostro suolo”. Tali dichiarazioni e perplessità, che riporto per dovere di cronaca, espresse da gruppi di critici ma seguiti congolesi, oltre ad essere preoccupanti per quanto chiaramente palesano sulla manifestazione della poca empatia esistente tra gli “autoctoni” e i non autoctoni, soprattutto nell’emergenza attuale, tendono a generare dubbi anche sull’applicazione e sulla gestione dei ricchi programmi firmati Nazioni Unite. Perplessità e dubbi che aggravano, essenzialmente, le condizioni delle popolazioni di queste province africane, che sicuramente necessitano di aiuti e non di drammi o querelle internazionali.

Aggiornato il 24 febbraio 2021 alle ore 10:58