Peggiorano le condizioni di salute del leader dell’opposizione russa al regime putiniano, Alexei Navalny, in seguito al suo arresto e al suo internamento nel campo di concentramento di Pokrov. Questo è quanto si apprende dal suo profilo Instagram che, attraverso uno staff di collaboratori e amici, continua a fornire aggiornamenti sullo dell’attivista liberale condannato a due anni e mezzo di reclusione.

Navalny spiega che soffre di forti dolori alla schiena e alle gambe, che viene torturato con la privazione del sonno (sostiene che le guardie lo sveglino anche otto volte per notte) e che è dimagrito di otto chili. Per questo motivo ha chiesto di essere visitato da un medico di sua scelta: richiesta inizialmente negata dall’Amministrazione carceraria. In seguito al rifiuto, Navalny ha iniziato uno sciopero della fame che l’ha ulteriormente indebolito. Risibili, a questo proposito, i tentativi da parte dei suoi carcerieri di ridicolizzare la sua protesta, ad esempio – fa sapere lo stesso Navalny – mettendogli in tasca caramelle che poi venivano scoperte durante la perquisizione, o friggendo pollo e pane in prossimità della sua cella.

Da alcuni giorni è, inoltre, affetto da una grave tosse e ha la febbre a 38. Teme di aver contratto la tubercolosi a causa di alcuni detenuti del suo distaccamento (circa quindici persone, vale a dire il 20 per cento) risultati positivi e che, come lui, non ricevono le cure adeguate. Pare che all’origine della diffusione della malattia vi siano le pessime condizioni igienico-sanitarie delle celle, la mancanza di un adeguato riscaldamento della prigione e la malnutrizione: gli unici alimenti sono patate e avena bollite, sebbene il regolamento preveda che i detenuti in condizioni di salute precarie debbano seguire una dieta proteica.

La legale di Navalny, Olga Mikhailova, fa sapere che il suo assistito ha finalmente ottenuto di essere sottoposto ad alcuni accertamenti medici, dai quali è emerso che i dolori accusati nei giorni scorsi sarebbero dovuti ad una doppia ernia del disco, una delle quali particolarmente grave e che starebbe già determinando una perdita di sensibilità agli arti. Secondo gli specialisti, il trattamento prescritto a Navalny in carcere, oltre ad essersi rivelato inefficace, avrebbe anche portato ad un rapido peggioramento della situazione. Al dissidente russo resta comunque preclusa la possibilità di sottoporsi a cure adeguate – oltre al trasferimento nell’infermeria della prigione e al tampone per il Covid, che ha dato esito negativo – per i problemi respiratori accusati nei giorni scorsi.

Fanno riflettere le parole della moglie di Navalny, Yulia: “Putin ha messo in prigione mio marito illegalmente. L’ha fatto perché ha paura della competizione politica e vuole restare sul trono per il resto della sua vita. Ciò che sta accadendo è una vendetta personale attraverso una giustizia sommaria”. Ora, che Putin non voglia per nessun motivo uscire dal Cremlino pare abbastanza ovvio, come il fatto che abbia paura dell’opposizione: altrimenti non si affannerebbe tanto a mettere a tacere chiunque gli si opponga, col veleno o con il confino in qualche sperduta prigione. La verità è che Putin non ha tutta la forza che ostenta e che vuole convincere di avere. La verità è che il suo potere è a rischio: lo dimostra la recente approvazione da parte della Duma – su iniziativa del suo partito, Russia Unita – di una legge che vieta di intraprendere procedimenti giudiziari contro gli ex-presidenti. Che l’autocrate abbia paura di ciò che potrebbe succedere, nel caso in cui perdesse il controllo della situazione e venissero a galla tutti i crimini perpetrati o tollerati sotto la sua presidenza? Probabile.

Ma, soprattutto, è pienamente consapevole che Navalny ha tutte le carte in regola per sfidarlo e mettere fine al suo regno di oppressione e terrore: è giovane, è determinato, non ha paura delle ritorsioni, ha l’appoggio dell’Occidente e promette libertà, democrazia, diritti e garanzie costituzionali a un popolo che non ha mai conosciuto niente di tutto questo e che, forse, vorrebbe sapere come si vive da liberi cittadini. Non da sudditi, come ai tempi degli zar; non da proletari, come ai tempi dei soviet; non da pedine per la realizzazione di finalità ideologiche come la nascita della “grande Russia”, come sotto Putin. Semplicemente persone. Semplicemente cittadini di uno Stato che li garantisce e protegge i loro diritti.

L’Occidente dovrebbe fare di più: non bastano le parole di indignazione, le pretese di scarcerazione, le pressioni diplomatiche, le sanzioni e le prese di posizione più o meno forti ma che non ottengono risultati concreti. Non bastano gli incoraggiamenti, la solidarietà e le “pacche sulla spalla” rivolte a Navalny. C’è bisogno di un Occidente forte e capace di adottare risoluzioni decise, incisive e finanche radicali. Di un Occidente capace di far sentire la sua voce, di affermare e difendere i suoi valori e di intraprendere delle serie azioni di contrasto. Non ha senso strepitare per le violazioni dei diritti umani in Russia, se poi con essa e col suo governo si proseguono le normali relazioni economiche e diplomatiche. Non si tratta di mere “questioni interne” sulle quali nessuno può interferire: è in ballo la dignità dell’Occidente stesso e di quell’ordine democratico-liberale, per il quale la Russia di Putin costituisce una seria ed oggettiva minaccia. Probabilmente una delle peggiori.

Aggiornato il 09 aprile 2021 alle ore 10:12