Egitto ed Etiopia: la guerra dell’acqua

Come sappiamo l’acqua sarà una delle “questioni” più delicate del nostro futuro. La gestione di grandi bacini, falde e arterie fluviali, già occupa grandi spazi nel dibattito geopolitico. Ad oggi sono in corso almeno 343 conflitti per l’acqua; le cause sono sintetizzabili in quello che definisco “affaticamento sociologico”, dato dalle risorse idriche contese, dalla sovranità e dalle rivendicazioni di bacini condivisi posizionati a monte o a valle rispetto ai fiumi, dall’overpumping, dall’acqua come bene strategico offensivo e difensivo.

Il Nilo rappresenta da sempre, con i suoi 6600 chilometri di lunghezza, un’arteria vitale per i Paesi che bacia, e l’Etiopia con la costruzione della diga denominata Renaissance Dam ubicata sul Nilo Azzurro, nello Stato regionale di Benishangul-Gumuz, potrebbe ipotecare una enorme quantità di acqua con conseguenze facilmente immaginabili. Brevemente, la costruzione della diga, appaltata direttamente alla Salini-Impregilo con un contratto del valore di 4,8 miliardi di dollari, comprese opere funzionali e aziende collegate, è iniziato il 28 maggio 2013 e dovrebbe terminare entro il 2022. Con i suoi 6.450 megawatt sarà la più grande diga idroelettrica in Africa e aumenterebbe il peso politico dell’Etiopia nel Continente.

Il progetto Gerd (Grand ethiopian renaissance dam) è ritenuto essenziale per lo sviluppo economico e l'elettrificazione dell’Etiopia; mentre l’Egitto ed il Sudan, che per il 97 per cento dipendono per l’approvvigionamento idrico dal Nilo, temono che la diga limiterà il loro accesso all’acqua, come già si sta verificando. Il Nilo è una fonte essenziale di acqua ed elettricità per una dozzina di Paesi dell’Africa orientale, e l’Egitto vede la diga come una minaccia sia per la sua provvista idrica, che per la sua esistenza. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, durante una recente visita a Khartoum, ha criticato l’intenzione dell’Etiopia di procedere con la seconda fase di riempimento della sua mega diga. Infatti, attualmente l’acqua del Nilo sul territorio egiziano è stimata in 55,5 miliardi di metri cubi e Il Cairo teme che il riempimento della diga possa diminuire ancora la quota d’acqua attualmente disponibile.

Il Sudan confida che la diga regolerà le inondazioni annuali, ma teme che le sue stesse dighe vengano danneggiate a causa della scarsità di acqua, se la seconda fase di riempimento venisse avviata senza che prima venga raggiunto un accordo. Come vediamo da questa brevissima descrizione, la situazione è estremamente delicata. Ricordo che Sudan, Egitto ed Etiopia stanno negoziando da dieci anni i termini di gestione e del riempimento del bacino della Great renaissance dam, senza accordi completamente condivisi e con clausole che svincolano l’Etiopia da pareri condizionati. Tuttavia Addis Abeba, che già a luglio aveva annunciato di aver raggiunto l’obiettivo programmato della prima fase di riempimento della diga, afferma di voler continuare il processo indipendentemente dal raggiungimento di un accordo. Così a metà marzo il capo del governo sudanese, Abdalla Hamdok, ha chiesto ufficialmente alle Nazioni Unite, agli Stati Uniti, all’Unione africana e all’Unione europea di mediare i negoziati tra Khartoum e Il Cairo con Addis Abeba, al fine di risolvere le divergenze sulla diga del Rinascimento, proponendo, appunto, una mediazione quadripartita includendo questi attori.

L’entrata in “ballo” di attori internazionali fa comprendere la gravità della situazione. Fino ad oggi non risulta che alcuna mediazione abbia portato un effetto, o avviato un negoziato costruttivo per far ponderare le scelte di Addis Abeba, ma la mediazione quadripartita, guidata dalla Repubblica democratica del congo (Rdc), è attiva ma soprattutto impegnata nel tenere alta l’attenzione su questo scenario con una criticità estremamente elevata. È evidente, come affermato anche dal ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, che non si possono avere negoziati senza fine, soprattutto se una parte sta prendendo decisioni unilaterali, imponendo la propria volontà a entrambe le parti.

Ma cosa potrebbe accadere se i negoziati quadripartiti fallissero e se Addis Abeba riempisse la diga Rinascimento, come da programma, con 74 miliardi di metri cubi d’acqua, ridicendo enormemente la portata del Nilo? Va detto che la posizione del Sudan è complessivamente diversa da quella dell’Egitto: l’Etiopia è alleata del Sudan anche nella risoluzione dei conflitti interni: Darfur, Sud Kordofan, e Nilo Azzurro. Allo stesso tempo Addis Abeba non vuole perdere Il Cairo come interlocutore. In modo estremamente sintetico, possiamo ipotizzare che se i negoziati falliscono l’Unione africana avrà due opzioni. La prima, per continuare i negoziati, è trasferire la questione o al Comitato speciale per la pace e la sicurezza o al Comitato dei Saggi dell’Unione africana. La seconda è deferire il caso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dove la gestione della crisi potrà passare dal capitolo VI al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, con la richiesta all’Etiopia di interrompere le attività di riempimento della diga fino al raggiungimento di un accordo. Tuttavia, ritengo non possibile tale opzione in quanto Il Cairo e Khartoum dovrebbero ottenere il sostegno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza, cosa poco certa poiché è prevedibile che Russia e Cina si oppongano, non volendo creare un precedente, soprattutto a causa dei conflitti fluviali che hanno con gli Stati confinati a valle dei propri corsi d’acqua. Non sottovalutando, poi, che la Cina ha una azienda impegnata nella diga Grand ethiopian renaissance dam.

In conclusione, va valutato che l’Egitto ha il più potente esercito dell’Africa (terza opzione?), e che il popolo egiziano non potrebbe sopportare un “affaticamento sociologico” da “siccità causata”. Ma sappiamo anche che al-Sisi ha grandi capacità di convincimento, al fine di evitare una ennesima guerra dell’acqua dagli esiti catastrofici.

Aggiornato il 12 aprile 2021 alle ore 09:34