Dall’America all’Africa: la decolonizzazione della “Memoria”

Come è abbastanza chiaro a chi si occupa di studi storici, la Storia letta, spesso, non narra la realtà dei fatti, ma racconta ciò che, chi ha potuto, ha lasciato scritto e poi fatto divulgare. La ricerca, con approccio adogmatico, è forse l’unico strumento che può dare “un’idea” di ciò che è accaduto, ma troppo spesso “i falsi storici” hanno assunto lo “status di verità. Ma chi è responsabile di raccontare la storia, e come? E fino a che punto è necessario conservare le vestigia del passato quando oltraggiano chi lì vive?

Le questioni sono molte e complesse, oggi sono sempre più affrontate senza reticenze dai Paesi mesoamericani, dall’Africa, ma anche dall’Occidente, accomunando Stati storicamente colonialisti ed ex colonie in una lotta “al simbolo” del colonialismo.

Una accelerazione c’è stata dopo la morte dell’afroamericano George Floyd, asfissiato da un poliziotto poco più di un anno fa, ma i disagi della presenza di statue e vessilli richiamanti il colonialismo, erano da tempo già manifestati. Così nelle strade delle principali città africane, europee o americane, gli attivisti hanno risposto a queste domande da soli e in modo spontaneo, iniziando a “smontare” le prima orgogliose ma oggi strafottenti “vestigia coloniali”. Si sta assistendo, adesso, alla nuova linea guida degli “attivisti anticolonialisti”, che serpeggiando tra “le loro anime”, li conduce verso lo smantellamento, letterale e figurativo, dei simboli della schiavitù e del passato coloniale, come la statua del mercante di schiavi Edward Colston (1636-1721), gettata in un canale di Bristol, Inghilterra; a Boston, negli Stati Uniti, decapitata quella di Cristoforo Colombo; un busto dell’imperatore, sovrano del Congo, Leopoldo II (1835-1909), macchiato di vernice rosso sangue a Tervuren, vicino a Bruxelles. Smontare le statue, rinominare le strade, è arrivato il momento di liberare lo spazio pubblico dalle figure del razzismo e dell’oppressione? Il dibattito infuria, ed è globale.

Così il Messico, a pochi giorni dalle celebrazioni del bicentenario della sua indipendenza, ha deciso di sbullonare una statua di Cristoforo Colombo e di rendere omaggio alle popolazioni decimate dai coloni europei, sostituendola con quella di una donna indigena. Lo slogan “basta genocidio” è stato “grafitato”, a caratteri cubitali, sulla struttura perimetrale ubicata attorno al piedistallo su cui sedeva orgogliosamente la statua del “navigatore” genovese a Città del Messico. Dal punto di vista simbolico il gesto è notevole: la volontà di cancellare un passato, una “memoria”, che ha determinato il loro futuro, e soprattutto nell’area Mesoamericana, sospeso un altro futuro culturale e sociale, un futuro diverso rispetto a quello che la colonizzazione europea e gesuita ha tracciato.

Un altro passo fondamentale verso la decolonizzazione dello spazio urbano, ma soprattutto uno sdoganamento culturale; un dibattito che riecheggia, già da tempo, al di là dell’Oceano Pacifico, in Africa, dove la “stretta” degli ex colonizzatori continua sotto altra forma. Ma mentre il Messico sfata Colombo e negli Stati Uniti, con grande dispiacere dei nostalgici, si attaccano i simboli del suo passato schiavista, il “trascorso” coloniale africano continua a risaltare con orgoglio sulle targhe e sui viali principali delle grandi città. Tale realtà si riscontra bene dalla denominazione ancora indiscussa del ponte Faidherbe (Louis Léon César Faidherbe, 1818-1889, amministratore coloniale del Senegal) a Saint-Louis, nello Stato africano, dalla statua del generale Hubert Lyautey (1854-1934) a Casablanca, in Marocco, passando per Bingerville in Costa d’Avorio. A quando la decolonizzazione della “Memoria” e dello spazio pubblico africano?

Tuttavia, ricordo che qualsiasi regime, soprattutto autoritario, o con “tendenze” autoritarie, colonialista o meno, ha sentito la necessità di lasciare un segno, nel bene e nel male. Anche oggi, con forme articolate, chi ha potere ed è afflitto da quella che definisco “sindrome da incarico”, cerca di “non farsi dimenticare”. A tal proposito, rammento solo che alcune “leggi”, invece degli “estremi”, portano il nome di chi le propone, e molto spesso queste hanno prodotto più danni che benefici.

La Storia è scandita dalle guerre, i trattati di pace sono una “presa d’atto”; la Storia è scandita dai genocidi e suoi “derivati”, non, purtroppo, dal rispetto dei “Diritti Umani”. La cancellazione degli elementi che determinano la Storia mutila la sua essenza e nel tempo porta all’oblio della “Memoria”.

Aggiornato il 13 settembre 2021 alle ore 10:30