Turchia: crisi, proteste e inflazione galoppante

venerdì 26 novembre 2021


Mentre in Europa si protesta contro il Green pass, a Istanbul non c’è più una lira per comprare il pane. Le proteste irrompono contro una crisi che potrebbe mandare a monte il potere assolutista di Recep Tayyip Erdogan. Mancano soltanto 18 mesi alle elezioni politiche e presidenziali, e le opposizioni chiedono tutte a gran voce il voto anticipato, dato che i sondaggi attribuiscono la vittoria a loro. Anche Erdogan potrebbe decidere di consultare a breve termine la popolazione, evitando che l’esasperazione cresca ancora di più.

Mariano Giustino – corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia – l’altro giorno ha riferito che in cinque ore il cambio con l’euro della lira turca è passato da 14 a 14,43 lire. La svalutazione si accompagna col caro prezzi, mentre i negozi fanno incetta di farina, olio e altri beni di prima necessità, peggiorando la disponibilità di cibo. Le uova sono aumentate del 47 per cento, l’olio di girasole del 40 per cento. Il 42 per cento della popolazione ha il salario minimo fissato a 224 euro al mese, mentre un insegnante guadagna circa 600 euro al mese. Apple ha sospeso le vendite di iPhone e di altri suoi prodotti in Turchia, anche se per le prossime feste di Natale riaprirà probabilmente una finestra per i regali. Ma il problema di questi giorni in Turchia è il pane, non lo smartphone. Giustino ricorda che in questi mesi circa 11mila aziende Pmi hanno chiuso i battenti, mentre i negozi falliti o chiusi sono almeno dieci volte tanto. Ciò è dovuto a problemi strutturali, che sono però aggravati dalle follie scespiriane di Erdogan, che si improvvisa economista dopo aver licenziato ben quattro governatori della Banca centrale turca, perché non accettavano le sue volontà basate sull’abbassamento dei tassi di interesse, il contrario esatto di quanto si deve fare in caso di svalutazione.

In Turchia non ci sono risorse energetiche e manca anche un’agricoltura fiorente (a parte alcune coltivazioni). Ecco perché si razionano i cibi, perché la benzina è salita del 20 per cento e il gas industriale del 48 per cento. Ed ecco perché la Banca centrale non ha più liquidità, nonostante i fondi concessi dal Fondo monetario internazionale, dato che l’economia turca si basa sull’edilizia (drogata) e sull’import. Appare drogata anche la crescita del Pil (+21 per cento nel secondo trimestre). Va comunque ricordato che la Turchia con 729 miliardi di dollari ha il Pil più alto del Medio Oriente, anche se nel 2013 il Pil ammontava a 957 miliardi, (Israele ha 420 miliardi, ma con una popolazione di appena 9 milioni di abitanti). Secondo il Fondo monetario internazionale l’economia turca quest’anno crescerà del 9 per cento, ma il dato va confrontato con inflazione e svalutazione. Di fronte ai pericolosi sbandamenti di Erdogan (utili a dare liquidità alle aziende amiche, più che altro), il Partito Repubblicano del Popolo, erede dei kemalisti, i nazionalisti laici eredi del leader che rifondò la Turchia dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano, si è presentato la scorsa settimana sotto la veste progressista dei diritti civili e della fine della repressione contro i curdi, ovvero come un “partito di Governo”.

Di fronte a serie minacce di un’eclisse imminente Erdogan si dedica all’aiuto del Libano, distrutto dalla presenza di hezbollah in lotta con le altre fazioni. Sicuramente, se gli scenari dovessero peggiorare, anche il ruolo turco in Siria e in Libia verrebbe ribaltato. Il che – per gli interessi libici – e forse italiani, non è un male. L’agenzia Reuters ha riportato che nel frattempo la lira è crollata ancora, arrivando a un cambio con l’euro di 15 lire e di 13,45 col dollaro. In un anno la lira turca ha perso il 42 per cento del suo valore (il 22 per cento nell’ultima settimana), e con l’inflazione salita al 20 per cento (e oltre, forse) si ha un mix infernale. Erdogan parla di incrementare l’export e l’occupazione, ma sembrano parole al vento dei Dardanelli.

Parole molto pesanti sono arrivate dall’ex governatore della Banca centrale turca, Semih Tumen, licenziato un mese fa, il quale su Twitter ha scritto: “Serve un immediato abbandono di esperimenti irrazionali che non hanno alcuna chance di successo.” Del resto, la situazione critica riguarda anche le banche, obbligate a rinnovare i debiti esterni a breve termine, per 84 miliardi di dollari. Sembra il caso di una nave in procinto di affondare, in cui gatti, equipaggio e topi si precipitano – concordi o meno – su scialuppe di salvataggio che magari si chiamano nuovo Governo. La tempesta della lira turca in realtà è iniziata dal 2010, con una punta acuta nel 2018. Una crescita si è avuta nel 2020, ma dal febbraio 2021 c’è stato il nuovo aggravamento.


di Paolo della Sala