“Caso Ungheria” fra sovranismo e sovranità nazionale

L’iniziativa della Commissione Ue di congelare i 7 miliardi di euro del Pnrr – Piano Nazionale di resilienza e ripresa ungherese e di tagliare il 65 per cento dei fondi di coesione, pari ad altri 7.5 miliardi, è dichiaratamente fondata sulla presunta lesione dei princìpi dello Stato di diritto da parte del governo magiaro. Ma siamo certi che spetti alla Commissione o ad altri organi dell’Unione europea stabilirlo?

L’Europarlamento ha votato lo scorso 15 settembre una mozione che condanna il governo di Budapest perché “non è più una democrazia compiuta”. Il rapporto definisce l’Ungheria “una minaccia sistemica” ai valori Ue, un “regime ibrido di autocrazia elettorale”, ovvero un sistema costituzionale in cui si svolgono le elezioni, ma manca il rispetto di norme e standard democratici. In particolare, destano preoccupazione l’indipendenza della magistratura, la corruzione e i conflitti di interesse e la libertà di espressione, compreso il pluralismo dei media, nonché la libertà accademica, la libertà di religione, la libertà di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle persone Lgbtiq, i diritti delle minoranze, dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati politici.

La Commissione si è schierata in conformità al Parlamento europeo: dopo avere sospeso l’invio della prima tranche di acconto sul Pnrr ungherese e aver minacciato l’applicazione del meccanismo di condizionalità economica sui fondi di bilancio europeo destinati allo Stato membro, il collegio dei commissari europei ha deliberato sul documento del 20 luglio del commissario al Bilancio Johannes Hahn, votando all’unanimità la proposta di sospendere il 65 per cento dei fondi di tre programmi operativi per la coesione destinati all’Ungheria a causa della violazione dello Stato di diritto. Il valore totale dei fondi in questione è di 7,5 miliardi di euro, che corrisponde circa a un terzo di tutti i fondi di coesione destinati all’Ungheria.

La decisione – ha spiegato il commissario europeo al Bilancio, Johannes Hahn – deriva dalle irregolarità sistemiche nelle procedure di appalto, dalle insufficienti inchieste contro il conflitto d’interessi e in generale dalla debolezza nell’intervento contro la corruzione. Secondo altri, la vera ragione della recrudescente azione degli organi Ue nei confronti dell’Ungheria è la riluttanza di Orbán a consentire più significative iniziative europee contro la Russia di Putin – Orbán è rimasto l’unico a rilasciare visti di ingresso Shengen ai cittadini russi – diversamente dall’apparente appeasement della Commissione nei confronti della Polonia – pur essa ritenuta rea di lesione dello Stato di diritto, che ha, al contrario, assunto la guida della resistenza pro Ucraina contro la Federazione russa.

La contestualità temporale dei provvedimenti Ue contro l’Ungheria con la nuova normativa ungherese in materia di aborto farebbe, piuttosto, pensare a una ritorsione contro la previsione, appunto introdotta il 15 settembre, che i medici che si occupano di interruzione di gravidanza dovranno mostrare alle donne che scelgono l’aborto, “una prova chiara delle funzioni vitali del feto”, tra tutte, il battito del cuore, dovendo il personale sanitario fornire documenti che attestino che la paziente è stata sottoposta a tale procedura: altrimenti l’aborto non potrà essere praticato.

In realtà, l’aborto è praticabile in Ungheria, sin dal 1953, fino a 12 settimane dall’inizio della gestazione senza particolari restrizioni, mentre invece la normativa italiana, la legge n. 194/1978, che taluni vorrebbero porre a fondamento di un inesistente diritto all’aborto, nel prevedere l’assistenza dei consultori familiari alle donne che chiedono di abortire stabilisce che essi, “oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto” (articolo 5).

È difficile da comprendere in che cosa consista l’aggravamento della condizione femminile delle ungheresi – la cui libertà di abortire sarebbe messa a repentaglio dall’ascolto del battito fetale del proprio bambino – rispetto alle italiane, cui il probabile prossimo presidente del Consiglio italiano, con omologo scandalo mediatico, vorrebbe far rispettare più attentamente la normativa vigente, anche nella parte in cui questa prevede l’aiuto alla maternità responsabile. Ma tant’è, se la stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, la “popolare” tedesca, “non una pericolosa comunista” (come ha ricordato Enrico Letta, segretario dem), a proposito della possibile deriva ungherese dell’Italia post 25 settembre, rispondendo a una domanda a Princeton sul possibile risultato delle elezioni in Italia, dato che – è stato fatto notare – tra i candidati vi sono figure vicine a Putin, ha testualmente dichiarato: “Vedremo il risultato del voto in Italia, ci sono state anche le elezioni in Svezia (con il clamoroso successo dei Democratici svedesi di destra). Se le cose andranno in una direzione difficile, abbiamo degli strumenti, come nel caso di Polonia e Ungheria”.

A fronte delle polemiche suscitate da tale intervento, contestato come una indebita intromissione nelle elezioni di un Paese membro, la Commissione europea, con interpretazione autentica tesa a sedare gli animi ma, in realtà, ancor più urticante, ha fatto sapere che “lavorerà con tutti i governi che usciranno dalle elezioni e che vogliono lavorare con noi”, con la presidente che avrebbe solo “cercato di spiegare il ruolo di guardiana dei trattati della Commissione in particolare nel campo dello Stato di diritto”.

Orbene, gli strumenti di cui parla von der Leyen sono le procedure di infrazione per violazione dei trattati europei. Nel caso dell’Ungheria sono stati avviati per violazione del trattato fondamentale sull’Unione europea, in relazione alla mancanza di indipendenza della magistratura, alla scarsissima libertà di stampa e alla carenza di diritti e tutele o la vera e propria vessazione delle minoranze, a partire dalla comunità Lgbt, oltre, appunto, al grande scalpore suscitato dalla legge in base alla quale le donne che intendono abortire dovranno prima ascoltare il battito del feto.

L’Europarlamento chiede addirittura di attivare l’articolo 7 del trattato dell’Unione europea, che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Unione europea, tra cui il diritto di voto in sede di Consiglio, in caso di violazione grave e persistente da parte di un Paese membro dei principi sui quali poggia l’Unione. È lecito chiedersi, al riguardo, se la asserita violazione di regole e princìpi che vengono assimilati alla rule of law, ma che piuttosto rientrano in materie espressamente riservate, in base agli stessi Trattati fondativi dell’Unione, alla competenza esclusiva degli Stati membri, sia censurabile dagli organi Ue senza, con ciò, ledere, per esorbitanza, il rispetto delle prerogative loro assegnate.

In altri termini, ai fini della tenuta dell’Europa, è più pericolosa la pretesa di governi nazionali, liberamente eletti ed espressione democratica del popolo, di sottrarsi al mainstream dei ‘nuovi diritti’, o piuttosto l’autoassunzione della presidente della Commissione della funzione di guardania dei Trattati in materie che questi non assegnano all’Unione? Intendono quelli esercitare la propria sovranità nazionale o sono espressione eurofobica di pericoloso sovranismo? In un contesto geopolitico in cui l’Europa è chiamata a svolgere finalmente un ruolo da protagonista, pena la sorte del vaso di coccio tra quelli di ferro, sarà più prudente spingere per una Europa delle nazioni o per quella che Vladimir Bukovskjy, già all’inizio del millennio, paventava come l’Eurss, l’Unione europea delle Repubbliche socialiste sovietiche?

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 29 settembre 2022 alle ore 12:21