La guerra senza pace: guai ai vinti!

L’inizio certo di una guerra è al momento in cui si dà la parola esclusivamente alle armi. Quando da lì in poi verrà il momento di iniziare la pace, invece, in corso d’opera non lo sa proprio nessuno. Una cosa però è chiara: non c’è un “tertium” tra la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro. Solo giochi incruenti come gli scacchi, che prevedono un “pari e patta”. L’armistizio, la tregua, la pace armata sono fattispecie regolate dagli stati di fatto, imprevedibili a priori per chiunque e, comunque, “non standardizzabili” sotto il profilo diplomatico. Del resto, l’impasse è chiara, a questo punto, poiché solo gli ucraini possono decidere quando e come deporre le armi, essendo in gioco la sopravvivenza stessa della loro Nazione e il riconoscimento del diritto da che parte stare: di là con i nuovi fratelli-coltelli euroasiatici; o di qua con le democrazie liberali.

Tuttavia, paradossalmente, questo sacrosanto diritto di scelta e di sopravvivenza non potrebbe sussistere senza l’aiuto e l’apporto fondamentale delle forniture di armi (pesanti, quelle più recenti) da parte dell’Occidente. Pertanto, quest’ultimo ha diritto o no di dire la sua in merito a un inevitabile, futuro percorso di pace, visto che le guerre prima o poi sono destinate comunque a finire, in un modo o nell’altro? Se oggi Joe Biden dicesse a Vladimir Putin e Xi “è arrivato il momento di metterci attorno a un tavolo”, quale potere di veto avrebbe in merito Volodymyr Zelensky, se non quello di accettare o rifiutare la mediazione raggiunta dai tre Grandi (tra i quali però “uno” è l’aggressore, cui si darebbe diritto di tenere fuori della porta l’aggredito!), per mettere fine al conflitto ucraino? Altro problema rivelante: ma se anche Zelensky dovesse rassegnarsi ad accettare la decisione della “Triade”, siamo sicuri che il compromesso raggiunto sarebbe parimenti gradito dal suo popolo, che ha “già” dato la vita di centinaia di migliaia dei suoi figli per proteggere la propria Nazione e i diritti di libertà dell’Europa intera?

Altra questione fondamentale: in caso che gli ucraini non si rassegnino a deporre le armi, ritenendo gli accordi raggiunti iniqui e svantaggiosi e facendo così a meno dell’aiuto occidentale, che cosa diverrebbe l’Ucraina se non un’enorme ex Jugoslavia alle porte dell’Europa, tormentando così i confini Nato con un conflitto permanente a bassa intensità? Perciò, qualunque saranno gli accordi per la sospensione delle ostilità, è assolutamente indispensabile che si evitino i rischi di una “balcanizzazione” della contrapposizione russo-ucraina, che potrebbe assumere da parte degli irriducibili di Kiev forme non dissimili dal terrorismo internazionale curdo-palestinese (in quanto entrambi “laici”, ovvero privi di motivazioni religiose), che ha insanguinato per decenni il territorio europeo e mediorientale. Ne consegue che il compromesso raggiunto dalla Triade non dovrà essere un diktat calato dall’alto, tenendo nel massimo conto, in modo serio e definitivo, gli interessi autentici del popolo ucraino: il solo a poter delegare i propri leader per la firma di un accordo onorevole di congelamento del conflitto in corso, in vista di una pace giusta! Molto probabilmente, quest’ultimo passaggio transiterà obbligatoriamente per un coinvolgimento delle Nazioni Unite, che dovranno impegnarsi a inviare un contingente di interposizione e di pace, previo ritiro di entrambi gli eserciti dalle zone contese. Queste ultime avranno diritto a esprimersi liberamente sulla propria autonomia, in base a un equo processo referendario, il cui svolgimento sarà monitorato e garantito da osservatori internazionali indipendenti. Referendum che, certamente, non potrà essere convocato in breve tempo, dovendo individuare tutti gli aventi diritto al voto presenti in Ucraina e all’estero, molti dei quali profughi e senza documenti validi di riconoscimento.

Affinché tutto ciò si renda possibile, è necessaria una “de-escalation” da parte del presidente russo e dei suoi fedelissimi, che debbono rinunciare a qualunque tipo di minaccia di ritorsione nucleare, in quanto l’Ucraina non ha mai rivendicato per sé un solo centimetro quadrato di territorio appartenente ai confini internazionalmente riconosciuti della Russia. Pur avendo Kiev il diritto di rispondere missile su missile, “tit-for-tat”, all’aggressione ingiustificata di uno Stato frontaliero estero! Ciò che è più importante di tutti per l’Occidente, come nota tra l’altro Le Point con “Comment finir la guerre d’Ukraine”, è di non dare mai l’impressione che l’aggressione armata “paghi” e, soprattutto, fare in modo che la Russia non debba mai più costituire una minaccia per i suoi vicini. Problema quasi insolubile, quest’ultimo, in quanto necessita di una prova inoppugnabile di forza, in cui si dimostri l’assoluta prevalenza della tecnologia militare occidentale rispetto a quella russa. Supremazia, quindi, che deve compensare con la sua potenza e precisione di fuoco il rapporto oggi nettamente sfavorevole all’Ucraina per numero di soldati, abbondanza di armamenti e continuità nel tempo e in intensità dell’offensiva bellica. Questo significherà, tuttavia, la separazione definitiva della Russia dall’Europa, facendo tramontare almeno per molti decenni il sogno di una civiltà comune, che spazi dai Pirenei agli Urali! Anche perché è il regime di Mosca a essersi dichiarato, lui per primo, in guerra contro i valori corrotti dell’Occidente e le sue democrazie imbelli.

Varrà in questo caso la previsione apocalittica di Volodymyr Zelensky, per cui “una nuova Cortina di ferro è calata sull’Europa, separando la Russia dal mondo civilizzato”: anche se sarà bene, sotto questo profilo, giocare un sano relativismo storico per cui le cose che sembrano, in definitiva, non lo sono affatto. Infatti, per quanto tempo le giovani generazioni russe accetteranno un tenore di vita nettamente inferiore a quello dell’Occidente, limitandosi al consumo di beni prodotti in Asia, e di essere costantemente sottoposti a uno “Stato di sorveglianza”, clonato da quello in vigore in Cina? Nel frattempo, l’Europa deve necessariamente tutelarsi dall’imperialismo russo, sperando che un giorno, prima o poi, anche da quelle parti sbocci una “Primavera” democratica! Ma, per il momento, è l’invasione russa dell’Ucraina ad aver prodotto un terremoto epocale nelle relazioni internazionali e nel capovolgimento degli equilibri all’interno stesso dei Paesi europei. La prima, possente onda d’urto ha letteralmente cancellato la tradizionale neutralità di nazioni come la Svezia e la Finlandia, che hanno avanzato la loro candidatura nella Nato, anche se, nel caso di Stoccolma, la stupidità di alcuni estremisti svedesi ha concesso una mano inaspettata a Recep Tayyip Erdoğan per ritardarne l’ingresso. La seconda, ancora più devastante conseguenza, ha riguardato il contestuale e contemporaneo riarmo di Germania e Giappone, che hanno gettato alle ortiche un modello politico-militare divenuto obsoleto, così come brillantemente analizzato da Isabelle Lasserre, in “La guerre par procuration des occidentaux”, pubblicato da Le Figaro.

Terza evoluzione epocale: fine del “ma-anchismo”, soprattutto di matrice macroniana e francese, per cui era giusto parlare di una vittoria dell’Ucraina pur evitando una disfatta della Russia: una sorta di ossimoro politico, in pratica, di impossibile risoluzione. Del resto, se si vuole che Kiev la spunti su Mosca come dovrebbe farlo? A mani nude? Oggi, obtorto collo, anche gli equilibristi d’Oltralpe e non solo (compresi molti catto-pacifisti di sinistra nostrani) sono costretti ad ammettere un’amarissima realtà: la sconfitta dell’Ucraina avrebbe conseguenze destabilizzanti sia per la sicurezza della regione, sia per l’avvenire dell’Unione europea, minando il futuro delle democrazie e il rispetto del diritto internazionale. Che la fermezza paghi, la dice lunga la continua retrocessione delle famose “linee rosse da non oltrepassare”, rimosse progressivamente in itinere da Mosca: non ultima quella relativa alla fornitura di armi pesanti, per cui per il Cremlino non serve l’atomica tattica ma cannonate ben assestate e missili di precisione. Segno quest’ultimo che Vladimir Putin non ha mai avuto nessuna intenzione di negoziare, affinché quelle famose “linee” non fossero oltrepassate! Qualcuno aveva dubbi? Anche se c’è da capire la reticenza del povero Olaf Scholz, cancelliere tedesco, terrorizzato che i suoi Leopard con le insegne dell’odiatissimo esercito teutonico andassero di nuovo a mettere i cingoli sulle sacre terre sovietiche, liberate grazie alla “Grande guerra patriottica” di Josef Stalin.

Ma, poiché il tedesco dello “Zeitenwende” (“tornante storico”) ha ottenuto la garanzia che i suoi “leopardi” seguissero le orme di Abramo (nome con cui si designano i carri pesanti Abrams Usa), si è ritenuto sufficientemente “coperto” per evitare che “qualcuno” tornasse a parlare del ritorno del nazismo! Furbescamente, infatti, malgrado il disperato tentativo di Putin di denunciare una “guerra per proxy” sta di fatto, che dal punto di vista del diritto internazionale, la fornitura di armi a un Paese aggredito da parte di uno Stato terzo non individua quest’ultimo come “Nazione cobelligerante”! Domanda: questa salvaguardia funzionerà in un futuro molto prossimo per la fornitura di aerei da caccia e missili a lunga gittata, questi ultimi ricompresi in un’altra (inutile?) “linea rossa” di Mosca? Chi vivrà, ovviamente, vedrà!

Aggiornato il 03 febbraio 2023 alle ore 10:08