Iran grazia migliaia di detenuti, non i capi delle rivolte

lunedì 6 febbraio 2023


La sortita di Ali Khamenei non convince. La Guida suprema dell’Iran ha deciso di concedere la grazia a decine di migliaia di prigionieri per celebrare l’anniversario della Rivoluzione khomeinista del 1979. Ma la mossa è chiaramente un bluff. Il numero e le caratteristiche di chi ne è escluso sono la rappresentazione dell’idiosincrasia degli ayatollah per tutto ciò che ha un seppur vago sentore di tolleranza. Restano fuori i leader delle rivolte, coloro che non si dichiarano – nero su bianco – pentiti, chi è accusato a vario titolo di “guerra contro Dio”, i presunti agenti o fiancheggiatori di Paesi stranieri che, nella percezione di Teheran, tramano contro la repubblica islamica. “I prigionieri che non sono accusati di spionaggio per conto di agenzie straniere, contatti diretti con agenti stranieri, omicidio, distruzione e incendio doloso di proprietà appartenenti allo Stato saranno graziati”, è la linea di Khamenei, riportata con grande evidenza dai media statali. Ma la stragrande maggioranza dei detenuti che riempiono le carceri iraniane sono i manifestanti che da settembre, da quando la 22enne Mahsa Amini è morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo, hanno dato inizio a quelle rivolte che hanno sfidato come non mai la stabilità del regime. E l’elenco dei distinguo è lungo. “I casi dei manifestanti che esprimono pentimento per le loro azioni, disconoscono il nemico e si staccano dalle sue trame e da comportamenti dannosi durante le attuali proteste, iniziate più di 4 mesi fa, saranno archiviati in qualsiasi momento”, ha annunciato il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Ejei spiegando che saranno scarcerati solo se firmeranno una “dichiarazione di rimorso e un impegno scritto a non ripetere un simile reato doloso”. Se, dopo la firma, “questi individui ripeteranno le loro azioni in futuro riceveranno pene molto più pesanti”.

La lista degli esclusi è addirittura cesellata, anche perché il livello di discrezionalità è totale. Ejei ha specificato che rimangono fuori dalla grazia anche “i principali leader delle rivolte e coloro accusati di Moharebeh (guerra contro Dio) e corruzione sulla terra e gli agenti dei servizi segreti stranieri”. Nessun perdono nemmeno per coloro che hanno una doppia cittadinanza e sono attualmente detenuti. Intanto, un’altra giornalista è finita nella famigerata prigione di Evin. È Elnaz Mohammadi, responsabile della redazione sociale del quotidiano riformista Ham-Mihan, convocata in procura per un colloquio e poi arrestata. Anche la sua sorella gemella, Elaheh Mohammadi, giornalista della stessa testata, è in carcere dal 29 settembre con l’accusa di “propaganda contro il sistema” e “collusione contro la sicurezza nazionale’ per il suo articolo sul funerale di Mahsa. Condannato a un anno di reclusione e al divieto di lasciare il Paese per due anni anche il manager del sito Mobin-24 e del canale di informazione Iran Times, Hossein Yazdi, arrestato nella sua casa a Isfahan all’inizio di dicembre per aver sostenuto le proteste. Impossibile conoscere il numero di coloro che sono attualmente detenuti. Secondo i gruppi per i diritti umani, oltre 20 mila manifestanti sono stati arrestati dall’inizio delle proteste e più di 500 sono stati uccisi, tra i quali 70 minori. Dopo l’impiccagione di quattro manifestanti, sono almeno 100 – secondo Iran Human Rights, organizzazione con sede a Oslo – i condannati a morte, “privati del diritto di avere contatti con il proprio avvocato e di un giusto processo”. Improbabile, quindi, che la grazia annunciata per quelli che il regime reputa meno pericolosi sia l’inizio di un nuovo e meno sanguinario corso.


di Redazione