Algeria: antidemocrazia in crescita

L’area del Grande Maghreb, come buona parte del Continente africano, ha un rapporto con l’idea della democrazia subordinato a un sistema di articolate concezioni dove la religione spesso ha un ruolo, ma soprattutto dove l’assetto sociale difficilmente sopporta di essere regolato da principi democratici. Quindi, immaginare queste regioni come un campo dove fioriscono e crescono i semi della democrazia è abbastanza fantasioso. Inoltre, non è scontato riscontrare l’applicazione della democrazia, intesa come concetto pericleo con l’accezione aristotelica, anche nella “nicchia sociologica” circoscritta alla “Piccola Europa”.

Tuttavia, nella storia, la cooperazione economica (dopo lo sfruttamento unilaterale) tra queste aree, più o meno democratiche, non è stata mai particolarmente complessa, sulla linea dell’altro concetto, sviluppatosi con il tempo, il quale ricorda che “pecunia non olet”, “il denaro non ha odore”. Così, dopo alcune performance in Europa, il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, a fine gennaio ha concluso una strategica visita ufficiale in Algeria, al fine di tessere sia rapporti costruttivi soprattutto con fini energetici, sulla traccia del “Piano Mattei”, sia di proseguire nella fortificazione della sua statura internazionale. L’importante riapertura del rapporto tra Roma e Algeri si inserisce in una visione geopolitica cruciale, dove l’Italia si configura come un “hub energetico” tra Europa e Africa.

Ciononostante, l’esposizione italiana verso l’Algeria, ponendo i riflettori su queste sponde strategiche, ha messo ulteriormente in luce le dinamiche normative che pare servano al Governo di Algeri per blindare la stabilità del regime, ma che stanno tracciando un percorso tendenzialmente dittatoriale. Infatti, molti segnali indicano che il sistema politico sta cambiando natura, a causa dell’inquietudine scaturita dalla convinzione che la strada che sta percorrendo possa mettere a repentaglio la sua sopravvivenza, dato che la base sociale sulla quale il regime si è sostenuto finora sta vacillando. In particolare, alcune osservazioni devono essere fatte sulla recente identificazione del concetto di “nemiconel diritto penale algerino e dei suoi effetti sulle limitazioni delle libertà.

Il regime algerino, fisiologicamente, è autoritario ma moderato da aspetti che prevedevano delle libertà; però, oggi, sta aumentando la tendenza dispotica. Pertanto, se si analizzano le azioni che il Governo sta imbastendo circa i rapporti con la società, potremmo affermare che la fase che sta attraversando oggi l’Algeria può essere caratterizzata da tendenze totalitariste a causa di alcuni fattori. Sinteticamente: un indicatore che sposta la freccia verso l’antidemocrazia spinta è riscontrabile nella revisione della legislazione sul terrorismo, che incrementa il “corredo” legislativo repressivo. Lo strumento di repressione è costante e già ampiamente utilizzato; per ragioni politiche, si procede a centinaia di arresti per reati di “opinione”, con una enormità di procedimenti penali, accompagnati a divieti di movimento sul territorio nazionale o di espatrio. Altro indicatore è la messa in discussione da parte di Algeri delle espressioni pluraliste, concetto finora tollerato, soprattutto perché legato alla politica. Adesso, questo pluralismo debole è messo in discussione, utilizzando con più facilità le procedure, già avviate, per lo scioglimento di associazioni e partiti politici. Inoltre, si stanno verificando pesanti pressioni sui pochi media tenacemente indipendenti. Così le indicazioni del Governo tendono a obbligare questi media ad allinearsi, pena la chiusura. Tra i colpiti, troviamo attivisti e difensori dei diritti umani e giornalisti, ricadenti, secondo le nuove normative, nel solco dei crimini connessi o riconducibili al “terrorismo”.

Un solo esempio, ma significativo: ricordo che il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, già nel mese di aprile del 2021, tramite una sua ordinanza presidenziale, sancì la revisione dell’articolo 87 bis del codice penale. Questo articolo modificato ridefinisce il reato penale di terrorismo. In pratica, inserisce nuovi principi tra i suoi fattori costitutivi. Tra questi, “è considerato atto terroristico o sabotaggio qualsiasi atto finalizzato alla sicurezza dello Stato, all’integrità del territorio, alla stabilità e al normale funzionamento delle istituzioni”. Inoltre: “Chiunque esalta, incoraggia o finanzia, con qualsiasi mezzo, gli atti di cui al presente articolo, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da centomila a cinquecentomila dinari”. In più, è un grave reato “lavorare o incitare, con qualsiasi mezzo, a prendere il potere o a cambiare il sistema di governo con mezzi non costituzionali”. Soprattutto quest’ultimo punto stabilisce quali sono i “mezzi anticostituzionali o antidemocratici”, che, anche se “democratici”, semplicemente non sono previsti dalla Costituzione. Ad esempio, se dovesse essere chiesta da un audace legittimo organo politico l’elezione di una Assemblea costituente, che nell’ordinamento costituzionale algerino non è prevista, ciò rappresenterebbe un atto anticostituzionale, quindi ricadrebbe nel reato di terrorismo! E in applicazione dell’articolo 87 bis, la sanzione risulterebbe essere la pena di morte, quando la pena prevista dalla legge è l’ergastolo; l’ergastolo, quando la pena prevista dalla legge è la reclusione da dieci a venti anni. Quindi il concetto di “nemico” si amplifica.

Allo stesso tempo, in una visione più ampia ed economicamente cinica, sistemi governativi rigidi, soprattutto nell’area in esame, danno la garanzia di una duratura programmazione economica internazionale. Da segnalare che un sistema di avvicendamento governativo, piuttosto usuale in questi contesti, è appunto il colpo di Stato che, nel caso in cui si verificasse in maniera abbastanza frequente, potrebbe bruciare la tela dei rapporti internazionali, come sovente accade.

Aggiornato il 15 febbraio 2023 alle ore 11:30