Israele: una deriva teocratica?

venerdì 17 febbraio 2023


Quello che sta accadendo in Israele mi ha fatto ricordare una illuminata opera, pubblicata nel 1991, di Gilles Kepel, dal titolo “La rivincita di Dio”. Le manifestazioni di protesta esplose lunedì scorso a Gerusalemme, poi proseguite, contro la riforma del sistema giudiziario hanno raccolto migliaia di persone intimorite che tale riordino possa condurre a un sistema politico con tendenze teocratiche. La stima dei numeri dei partecipanti è come sempre soggettiva a seconda di chi la commissiona, ma va da 90mila a circa 300mila, come indicato da uno dei gruppi che hanno preso parte alla protesta di lunedì, conosciuto come “manifestanti high-tech”. Anche la società israeliana Crowd Solutions, incaricata dagli organizzatori per valutare la partecipazione complessiva, stima che ci siano stati più di 120mila partecipanti.

Il presidente israeliano, Benyamin Netanyahu, al potere dal dicembre 2022, forte della sua coalizione composta da religiosi, partiti conservatori e di estrema destra, sta portando avanti questa riforma della giustizia che è stata presentata il 4 gennaio da Yariv Levin, “Custode dei Sigilli”. La riforma prevede, in particolare, di indebolire le prerogative, quindi il potere di supervisione della Corte Suprema e di imprimere una politicizzazione sulle nomine di giudici e consiglieri legali. Gli slogan gridati stigmatizzano il rischio di colpo di Stato e di una pericolosa “metamorfosi del regime”. Le grida dei manifestanti echeggiano sia nelle piazze che sui treni che da Tel Aviv si dirigono verso Gerusalemme, ma il concetto che maggiormente viene urlato è quello che è in atto una guerra culturale.

Oltre i numeri dei contestatori, che comunque stanno assorbendo molta attenzione da parte degli organi di sicurezza nazionale, la realtà è che si sono verificate contemporaneamente molte proteste non solo a Gerusalemme, e sono avvenute in concomitanza con le prime votazioni alla Knesset, organo legislativo, in una sessione dove la tensione è stata così alta che sono stati espulsi quasi tutti i parlamentari dell'opposizione.

Questa riforma giudiziaria, proposta dal ministro della Giustizia, Levin, viene considerata dalle opposizioni autoritaria, poiché – secondo loro – permetterebbe al Governo di avere poteri finora “diluiti” nella Knesset, Parlamento monocamerale. Soprattutto il controllo sulla nomina dei giudici, compresa la Corte suprema, dove al momento i suoi membri sono scelti da un gruppo di giudici, deputati e avvocati del foro, sotto la supervisione del ministro della Giustizia. Il disegno di legge di riforma propone di abolire gli avvocati da questo collegio, dove al loro posto sarebbero nominati due cittadini, e un ministro, dando all’Esecutivo una maggioranza di cinque voti su nove. Insomma, il classico smantellamento della separazione dei poteri.

Questo limiterà, quindi, la capacità della Corte Suprema di agire sulle leggi permettendo alla Knesset di riformularle senza preventive discussioni. La nuova modalità prevede, con una maggioranza esigua di 61 deputati, di legiferare su leggi già annullate dalla Corte Suprema. L’indipendenza dei quindici giudici della Corte sarà così annichilita. Essi, a oggi, hanno competenze e ruoli multipli, come nel Consiglio costituzionale, nella Corte d’appello amministrativa, penale e civile. E rappresentano l’unico potere istituzionale della maggioranza eletta. L’altro fattore determinate della riforma è che la Corte viene privata del potere di invalidare l’operato dei parlamentari, nel caso in cui modifichino una delle leggi fondamentali del Paese che agiscono sulla Costituzione.

Gli oppositori della riforma sostengono che l’insieme del corredo di leggi, che potrebbero aggregarsi a questo disegno di legge, una volta approvato il tutto scaturirà un effetto che potrebbe far vacillare le fondamenta democratiche dello Stato di Israele, squilibrando quell’articolato e necessario sistema di controlli, accentrando così il potere sull’Esecutivo. Una lesione legislativa che renderebbe debole la protezione dei diritti.

Durante il corteo di lunedì ha preso parola anche un ex magistrato della Corte Suprema, Ayala Frocaccia, che ha dichiarato: “L’inizio di una nuova era con una nuova definizione di democrazia: non una democrazia basata sui valori, ma una democrazia tronca”.

Non è difficile immaginare i timori che una eventuale “democrazia tronca”, vista la composizione della Knesset, possa configurarsi come una “teocrazia soft”, ma è innegabile, in una lettura relativistica, che le derive autoritarie verificatesi nel corso della Storia non sono state degli incidenti sociologici, ma delle necessità sociologiche. Comunque, le grandi discussioni che orbitano intorno a questa riforma pare che si stiano muovendo accanto al passo della Sacra Bibbia Giosuè-5:13-:Tu sei dei nostri o dei nostri nemici?”.


di Fabio Marco Fabbri