Afghanistan: un silenzio assordante

Lo scorso venerdì 17 febbraio è passata in sordina la notizia, riportata da The Guardian, che i talebani hanno interrotto la vendita di contraccettivi in due delle principali città dell’Afghanistan: Kabul e Mazar-i-Sharif.

Secondo il quotidiano britannico, i talebani andrebbero di porta in porta minacciando le ostetriche e ordinando alle farmacie di ripulire gli scaffali da medicinali e dispositivi per il controllo delle nascite. Viene riportata anche la testimonianza di un farmacista: “Sono venuti nel mio negozio con le pistole e mi hanno minacciato di non vendere pillole contraccettive. Controllano tutte le farmacie di Kabul, abbiamo smesso di vendere i prodotti”.

La motivazione ufficiale di tale decisione è che l’uso di contraccettivi fa parte di una cospirazione occidentale tesa a corrompere i costumi e a controllare la crescita della popolazione musulmana.

Benché il ministero della sanità pubblica dei talebani a Kabul non abbia rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale sulla questione e il rappresentante dell’Unfpa (United Nations Population Fund) in Afghanistan non abbia risposto alle richieste di commento, resta difficile non credere alla veridicità di quanto riportato sulla testata inglese.

Non sembra lasciata al caso, infatti, la strategia adottata dal 2021 dai talebani saliti al potere. In meno di due anni i diritti delle donne sono stati praticamente cancellati: dalle pesanti limitazioni all’accesso all’istruzione, fino all’impossibilità di andare al parco se non accompagnate da un tutore maschio, la condizione delle donne afghane continua a peggiorare nel silenzio generale dei governi mondiali che hanno riconosciuto il nuovo governo dei talebani credendo alle loro promesse, puntualmente smentite.

In un Paese con un sistema sanitario già fragile, dove una donna su 14 muore per cause legate alla gravidanza, e che viene considerato dall’Oms uno dei Paesi più pericolosi al mondo dove partorire, la decisione di impedire l’utilizzo di contraccettivi appare non solo un ulteriore passo indietro sul terreno dei diritti. Sembra più che altro una gravissima violenza volta all’annullamento di chi viene considerato come il nemico numero uno: le donne.

Ma noi paladini del politicamente corretto per fortuna abbiamo i nostri alfieri che combattono per tutto ciò che è giusto. Quindi ci si scaglia contro il ministro Eugenia Maria Roccella e ci intorciniamo sul finto problema dell’aborto: magari il prossimo anno a Sanremo troveremo il tempo di chiamare una influencer che ci parli di queste tragedie. Ma solo se in maniera autoreferenziale. Non vorremmo mai correre il rischio di disturbare qualcuno, con perdite di guadagno annesse.

Aggiornato il 21 febbraio 2023 alle ore 11:14