Meloni a Kiev: con l’Ucraina fino alla fine

Dopo la visita a Varsavia, dove ha incontrato il premier polacco, Mateusz Morawiecki, la premier Giorgia Meloni si è diretta a Kiev, come aveva annunciato nei giorni scorsi. Qui ha visitato i sobborghi di Irpin e Bucha, teatro degli orrori e delle atrocità commesse dalle truppe russe, e ha reso omaggio – visibilmente commossa – alle vittime. Dopodiché, la premier ha incontrato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in un vertice bilaterale.

Il confronto tra i due leader è stato all’insegna della cordialità e della comunanza di vedute. Meloni ha riaffermato – anche nella conferenza stampa seguita all’incontro – l’impegno italiano nel supportare la resistenza ucraina con ogni mezzo necessario, chiudendo definitivamente la porta a ogni futura ambiguità sulla questione. L’Italia – ha detto perentoria la premier – non intende tentennare e non lo farà. L’impegno per giungere a una vera pace, ha proseguito Meloni, rimane un punto fisso, ma fino ad allora si continueranno a fornire armamenti a Kiev per mettere il popolo ucraino – definito eroico nella sua resistenza all’aggressione russa e comunque vittorioso nella sua battaglia in difesa della propria identità e libertà – nelle condizioni di poter esigere una pace giusta. Al contrario, non si tratterebbe di pace, ma di una resa: cosa che non può essere accettata, perché questo sarebbe un incoraggiamento, alla Russia e a tutte le altre autocrazie, a tentare nuove imprese di questo tipo. Per questo motivo – ha insistito la premier – chi oggi lavora davvero per la pace è chi sostiene anche militarmente l’Ucraina. E per questo nessuna pace può essere fatta senza l’Ucraina.

A tal proposito, la premier ha sottolineato il nonsenso della distinzione tra armi difensive e armi offensive, tanto cara ai pacifisti: quando si viene aggrediti, sostiene Meloni, tutte le armi sono difensive. Al momento, è andata avanti, l’invio di aerei da combattimento non è sul tavolo: ciononostante, l’Italia si accinge a inviare i sistemi di difesa antiaerea Samp-T, Spada e Skyguard, anche e soprattutto per difendere le infrastrutture civili dalle incursioni dei russi, che in questo modo sperano di fiaccare il morale della popolazione ucraina.

Infine, Meloni ha parlato di ricostruzione, che non necessariamente deve avere luogo dopo la fine della guerra: l’Italia farà la sua parte e avrà un ruolo da protagonista, anche grazie alle sue eccellenze strategiche e alle sue imprese. Ricostruire un palazzo, ha evidenziato Meloni, ha un profondo significato simbolico, cioè scommettere sull’Ucraina e sulla sua capacità di rinascere. E l’Italia è pronta a farlo: al punto tale che la premier ha proposto Roma quale città per una conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, da tenersi in aprile.

Alle inevitabili domande sulle dichiarazioni a dir poco ambigue da parte di alcuni membri della maggioranza di Governo, Giorgia Meloni ha risposto che esiste un programma molto chiaro sulla questione dell’Ucraina, che finora è sempre stato rispettato da tutti gli alleati e che certamente continuerà a esserlo.

Non è mancato lo spazio per un raffronto storico tra la vicenda ucraina e quella italiana: Meloni ha ricordato come anche dell’Italia, un tempo, si diceva che fosse solo un’espressione geografica e non una nazione. Poi le cose sono cambiate col Risorgimento, quando ha dimostrato di essere veramente una nazione, ossia di essere cosciente di se stessa e della propria esistenza. L’Ucraina ha mostrato di esistere quando si è difesa dall’invasione russa.

Alla domanda se avesse voluto dire qualcosa a Vladimir Putin, Meloni ha semplicemente risposto che rivolgersi al dittatore russo, oggi come oggi, non avrebbe alcun senso.

Il presidente Zelensky, dal canto suo, ha ringraziato nuovamente la premier Meloni e l’Italia per il sostegno al suo Paese. E si è detto sicuro del fatto che la storica e profonda amicizia tra le due nazioni uscirà rafforzata da questa esperienza.

Perché il viaggio di Meloni a Kiev ha un fortissimo valore simbolico e una altrettanto forte ripercussione pratica? Anzitutto perché, in questo modo, si mette fine a ogni ambiguità sulla collocazione pro-Ucraina dell’Italia e si chiude definitivamente la porta ai tentativi, da parte di Putin e dei suoi simpatizzanti italiani di interferire con la linea ufficiale del Governo o di influenzare l’opinione pubblica in senso più neutralista, se non addirittura russofilo: l’Italia, come tutte le democrazie occidentali, sosterrà Kiev, a prescindere da tutto il resto, e niente cambierà questo fatto. Si rassegnino i putiniani o i Nato-scettici (che poi è la stessa cosa) d’Italia.

In secondo luogo, il Belpaese si è ufficialmente accreditato quale interlocutore privilegiato dell’Ucraina in Europa e, di conseguenza, degli Stati Uniti, che più di chiunque altro sostengono con determinazione e convinzione la resistenza di Kiev. In un’Europa in cui Emmanuel Macron invita Zelensky ma telefona a Putin e dice che la Russia non deve essere sconfitta e in cui Olaf Scholz si fa pregare per inviare armamenti utili a respingere i russi, l’Italia è l’unico “big” dell’Unione che sostiene convintamente la lotta armata dell’Ucraina per la sua libertà e la sua sopravvivenza. A chi, dunque, d’ora in avanti faranno riferimento Kiev e Washington per trattare della vicenda e, a guerra finita, per qualunque iniziativa volta a difendere il confine orientale della Nato, che verosimilmente corrisponderà a quello ucraino?

Aggiornato il 22 febbraio 2023 alle ore 10:04