La storia non si ripete, ma gli errori sì

venerdì 24 febbraio 2023


È inutile riportare le numerose fonti che, da Cicerone a Machiavelli, hanno sostenuto che la storia tende a ripetersi mentre altre hanno messo in guardia dall’assumere che la storia sia ciclica o, comunque, tenda a ripresentare continuamente le stesse circostanze. In realtà, le circostanze, e la loro complessità, sono sempre molto diverse ma una sicura costante è, altrettanto certamente, la natura umana ed è sulla base di questa che la storia assume il carattere di una sorta di illuminante laboratorio. Ciò che sta accadendo sul piano diplomatico e sociologico in merito alla guerra attuale lo dimostra ampiamente se si guarda alla storia degli ultimi anni Trenta del secolo scorso. In mezzo a tante differenze, in effetti, non è difficile osservare la costanza di tre fenomeni: la “visione espansionistica” di due dittatori, l’incertezza della diplomazia e l’altalenante propensione delle popolazioni occidentali.

Sul primo credo non vi siano dubbi perché sia Hitler sia Putin hanno espresso a chiare lettere i loro intenti, fondati sulle stesse identiche motivazioni: la protezione di minoranze residenti in Paesi terzi, la riaffermazione della propria identità dopo l’umiliazione (Versailles per l’uno e la caduta dell’impero zarista e poi comunista per l’altro) e, da non trascurare, la superiorità etnica o etica di una razza o di una cultura nazionale. Tuttavia, sul secondo le analogie non sembrano molte, almeno apparentemente, poiché, a differenza del passato, fino a ora la posizione dei Paesi occidentali sembra piuttosto solida e per nulla incline all’appeasement che alla fine degli anni Trenta sembrò erroneamente essere la strada più conveniente da percorrere. Infine, c’è l’opinione pubblica ossia, più che una costante, una variabile fluttuante che, a differenza del passato, funge da timone della politica estera attraverso la novità storica dei sondaggi e altre forme di pressione ed esprime variazioni improvvise spesso imprevedibili in rapporto alle conseguenze immediate delle sanzioni o di possibili coinvolgimenti diretti nel conflitto.

D’altra parte, non va dimenticato che sia la diplomazia sia l’atteggiamento dell’opinione pubblica possono essere tratti in inganno dalla naturale tendenza umana a giudicare i fatti senza troppa lungimiranza e a valutare le intenzioni dell’avversario attraverso quello che gli inglesi chiamerebbero Wishful Thinking cioè, nella fattispecie, la persuasione che le intenzioni dichiarate corrispondano a quelle realmente in serbo. In questa chiave vanno letti sia l’entusiastica accoglienza, da parte delle popolazioni europee, degli accordi di Monaco del 1938 e della politica di Neville Chamberlain sia il giudizio di Winston Churchill secondo il quale l’accordo era invece da ritenersi una “disfatta totale”. Quanto sia possibile che ciò si ripeta non è facile da prevedere ma non è da escludere che, a fronte di un possibile accentuarsi delle conseguenze negative sul piano economico e sociale del conflitto ucraino, il fronte per ora compatto dei Paesi occidentali inizi a mostrare qualche crepa entro la quale si potrebbero insinuare, da un lato, abili e allettanti proposte della diplomazia russa e, dall’altro, pressioni crescenti delle opinioni pubbliche di questo o quel Paese occidentale, inducendo così i Governi e le diplomazie a cadere negli stessi errori del passato.

Una indiscutibile differenza è, però, la presenza del deterrente globale nucleare il quale, proprio per l’immagine della sua portata, rende impossibile anche un conflitto globale di tipo convenzionale in quanto, questo, finirebbe comunque per rendere l’impiego delle armi atomiche assai realistico e probabile. In altre parole, se nel 1938 Gran Bretagna e Francia avessero inviato armi alla Cecoslovacchia la Seconda guerra mondiale sarebbe scoppiata un anno prima, e forse sarebbe finita diversamente, mentre oggi il costante armamento dell’Ucraina da parte della Nato e dei Paesi occidentali non consente nulla di simile a Putin, poiché egli non può dichiarare guerra né all’Europa né agli Stati Uniti e viceversa. Salvo errori ed omissioni.


di Massimo Negrotti