Quello che viene definito il “fenomeno migratorio” – che fenomeno non è – non investe solo le stanze dei Ministeri europei (italiani in particolare), ma anche quelli degli Stati del Maghreb. Spesso avventurosi “analisti” sostengono che l’enorme flusso migratorio, che a ondate colpisce i “lidi europei”, mina i bilanciamenti demografico-culturali dei Paesi costretti o meno ad accettarli. Delle particolarità si riscontrano, essenzialmente, in una migrazione africana genericamente composta da giovani uomini, spesso di religione islamica, solo perché nati in aree dove prevale tale fede. Senza una professione o studi minimi, sono dotati di buona volontà nel restare, e di guidata arguzia nello sfruttare ogni opportunità che il generoso welfare occidentale offre. Ma le nazioni del Nord Africa, che spesso sono il trampolino di lancio per le coste a nord del Mediterraneo, ora temono che tali dinamiche migratorie influenzino demograficamente la propria regione.

Così, ha suscitato molto scalpore un comunicato emesso il 21 febbraio dal presidente tunisino Kaïs Saïed, che ha dichiarato di essere preoccupato per l’arrivo di migranti subsahariani in Tunisia, affermando che questi flussi fanno parte di un complotto volto a indebolire l’identità arabo-islamica tunisina. Ha stigmatizzato Saïed: “Esiste un piano criminale per cambiare la composizione del panorama demografico in Tunisia. E alcuni individui hanno ricevuto ingenti somme di denaro per dare residenza a migranti sub-sahariani”.

La preoccupazione di Saïed è stata espressa pure durante un Consiglio di sicurezza nazionale convocato appositamente per trattare la questione dei migranti. Il presidente ha parlato, con un lessico da “dirimpettaio”, di “orde di migranti illegali” la cui presenza nel Paese genera “violenze, crimini e atti inaccettabili”, indugiando sulla necessità di bloccare velocemente quest’immigrazione. La “questione” del complotto si basa sulla volontà, da parte di pseudo-ignoti, di ridurre la Tunisia a un semplice Paese dell’Africa, snaturalizzando le caratteristiche di un Paese arabo di religione islamica e i relativi aspetti tradizionali. Tale affermazione ha già avuto eco in vari Paesi europei, come in Francia, dove il presidente del partito Reconquête, Eric Zemmour, si è felicitato sulla presa di posizione di Saïed, condividendo l’allarme e approvando i timori di una contaminazione etnica.

Ricordo che la teoria complottista, a cui fanno riferimento, è quella della “grande sostituzione”, evocata da tempo da una parte dell’estrema destra statunitense ed europea. Sinteticamente, esisterebbe una cospirazione globale per sostituire i bianchi cristiani con persone di altre etnie e di religione islamica. Tale trama fa leva sui timori di una classe medio-bassa, bianca e culturalmente sotto-mediocre, di perdere i sostegni sociali che andrebbero a favorire i migranti stranieri che “sbarcano” in Occidente. Il presidente tunisino fa suo, in modo molto articolato, un concetto, espresso soprattutto da una ideologia complottista rappresentata da gruppi di estrema destra, sulla migrazione. Concetto che ha sempre respinto, quando era l’Europa a sollevare la problematica della migrazione clandestina di tunisini e quando veniva contestato troppo lassismo sul controllo dei porti della Tunisia, da dove salpavano i clandestini subsahariani.

La Tunisia fa leva, oggi, sull’importante presenza di manodopera di migranti subsahariani, che secondo le statistiche delle ong locali potrebbe essere intorno alle quaranta/cinquantamila presenze. Questa manodopera a basso costo, composta da irregolari clandestini, è sfruttata e utilizzata per attività lavorative che gli autoctoni evitano. Almeno metà di questi migranti non restano nella regione del Maghreb, ma emigrano illegalmente, prevalentemente in Italia.

La “politica di repressione migratoria” di Saïed ha prodotto nell’ultima settimana l’arresto di almeno trecento migranti subsahariani irregolari. Ma la posizione assunta dal presidente ha fatto esplodere sentimenti razzisti radicati nella società, ma anche storicamente noti. Infatti, l’odio è stato il primo frutto di questa deriva tendenzialmente razzista. Una nuova dimensione del recepire tale dinamica migratoria che ha incoraggiato l’ascesa del Partito nazionalista tunisino. Questo movimento, che all’inizio di questo anno annoverava sulla pagina Facebook solo alcune migliaia di utenti, a oggi supera i cinquantamila iscritti ed è in esponenziale crescita. Inoltre, a seguito di un sondaggio on-line, è stata chiesta l’espulsione dei migranti sub-sahariani.

Ma è anche da valutare che la deriva populista serva a fronteggiare un malessere generale, dove si cerca di trovare opportunisticamente il classico “nemico” per distogliere l’attenzione da problematiche ancora più complesse, come la deriva autoritaria della legislazione tunisina, la crisi sociale, l’inflazione e una povertà crescente. Quindi, è probabile che la comunità sub-sahariana funga da capro espiatorio. Sicuramente, l’euforia populista troverà nella questione migratoria un ancoraggio contro la tormenta del disagio sociale. Tuttavia, la situazione dei migranti che preoccupa Saïed potrebbe anche configurarsi nella “legge del contrappasso”, contra e patior, soffrire il contrario”.

Aggiornato il 27 febbraio 2023 alle ore 10:43