Iran: il femminismo islamico alla ricerca della parità di genere

La prevaricazione che le donne iraniane patiscono supera la questione del velo, che comunque è all’origine dell’attuale movimento di protesta. Infatti la legge iraniana, rappresentata dalla sharia, è pervasa da una misoginia strutturale. Questa realtà relega le donne iraniane esclusivamente al ruolo di mogli e madri escludendole, quindi, da ogni possibilità di raggiungere la parità di genere. Tale modello predominante dell’uomo musulmano, di confessione sciita ed eterosessuale, conduce a rendere invisibili le donne e confinarle in una situazione di inferiorità. Così gli inibiti movimenti femministi islamici cercano di rappresentare le prerogative e le singolarità delle donne, per presentarle non come comparse passive ma come soggetti determinanti della storia, cercando di mettere in evidenza la prevaricazione che subiscono, nel quadro di una discriminazione generalizzata a cui sono sottoposte dal legalizzato assolutismo maschile.

Così la polizia morale, o meglio la polizia religiosa, gestisce l’obbligo di indossare l’hijab con modalità violente che spesso portano alla morte delle cosiddette “trasgressive e immorali” ragazze iraniane, come accaduto a Jina Mahsa Amini, la 22enne di origini curde che, a settembre del 2022, ha perso la vita a causa di una ciocca di capelli “non celata”. Ma dietro a questo gesto simbolico di ribellione c’è una struttura giuridica che consente azioni repressive estreme. Quindi la domanda può essere: cosa c’è dietro il velo? Intanto la Repubblica islamica dell’Iran, che è la madre dello sciismo, è un regime teocratico. Il Corano, testo sacro dell’Islam, è anche uno scritto giuridico e un indicatore politico. E l’Iran basa la sua legge quasi esclusivamente sulla sharia. Quindi, le disuguaglianze tra uomini e donne hanno forma giuridica, soprattutto per ciò che riguarda il diritto di famiglia e il diritto Penale. Sarebbe lungo presentare ogni forma giuridica che colloca la donna in inferiorità “legalizzata”, ma sarà sufficiente ricordare alcuni aspetti del posizionamento del genere femminile all’interno dei rapporti familiari.

Brevemente, circa il divorzio la donna ha il diritto di rivendicarlo solo nel caso che sia previsto nel contratto matrimoniale. Nella circostanza opposta, può chiedere lo scioglimento del vincolo se dimostra davanti ad uno dei tribunali rivoluzionari, che si occupano di tale tematica, di trovarsi nella condizione di un’assenza prolungata del coniuge. Diversamente, l’uomo può in ogni caso e a sua esclusiva discrezione decidere di divorziare in qualsiasi momento. La podestà genitoriale, va detto, è riconosciuta solo al padre. La legge identifica il padre e il nonno paterno come rappresentanti legali dei figli. Per quanto concerne l’affidamento dei figli a seguito del divorzio, la madre può ottenere il diritto all’affidamento della prole, fino alla data del raggiungimento del settimo anno di età. Inoltre, la donna eredita la metà della quota del marito. Per viaggiare, generalmente all’estero, la moglie deve avere il permesso del coniuge. La testimonianza di una donna nel corso dei procedimenti penali può essere accettata solo se sostenuta da quella di un uomo. Tuttavia, i movimenti femministi islamici attingono dal Corano e dalle proprie tradizioni, e spesso dai ricordi e dai racconti, mettendo anche in campo il patrimonio simbolico dell’Islam al fine di costruire una neo-cultura che ne rivendichi la reinterpretazione al femminile e miri a stabilire l’uguaglianza tra i sessi. Intenzioni ovviamente apprezzabili e condivisibili, ma utopistici finché regge il regime degli ayatollah.

L’esistenza del femminismo islamico iraniano mostra, in questo modo, l’eterogeneità dello spirito e delle prospettive delle donne, soprattutto della classe media e con diverse origini socio-culturali, che nonostante l’articolazione dei percorsi di vita e le esperienze convergono verso obiettivi comuni. O meglio, verso un “guerra” contro gli strali “dell’omicidio identitario”. Le attiviste islamiche si pongono contro la visione conservatrice dominante all’interno del regime degli ayatollah, che si struttura sulla convinzione biologizzante del genere femminile che rende, naturale e sostanziale, la differenza di genere.

Così, come mostrato in questi pochi e semplici esempi, le donne iraniane sono tormentate da una grave ingiustizia legalizzata, che le tramortisce socialmente. E talvolta accade che uno sguardo banale e miope che dall’esterno osserva ciò che avviene in Iran, nota solo la questione del velo.

Aggiornato il 13 marzo 2023 alle ore 10:05