Il fronte balcanico della guerra russo-ucraina

Il conflitto russo-ucraino è tendenzialmente globale. Investe la guerra energetica, quella dell’acqua, ovviamente quella convenzionale, esclude quella nucleare e, inoltre, mette in campo uno scontro mediatico, basato su un sistema informativo teso a disinformare e a destabilizzare sia le relazioni diplomatiche che i legami internazionali. Questo potremmo definirlo il “secondo fronte” e ha lo scopo di agire su tutto ciò che può essere sfruttato, per contrastare l’influenza dell’Unione europea e della Nato nelle aree strategiche.

Il “secondo fronte” è decisamente incentrato su operazioni che procedono lungo la linea di confine tra diplomazia, spionaggio, promesse e corruzione. Ed è concentrato su una vasta area strategica dello scacchiere geopolitico: Africa, area danubiano-balcanica e mediterranea. Così, in Serbia, Georgia, Moldavia, Africa e Italia si scatena un’offensiva di tipo diverso, ma che sta guadagnando intensità e accende impegni notevoli per il suo contrasto. Quindi, immaginare che la forza offensiva russa sia esclusivamente focalizzata sul Donbass è fuorviante e limitativo. Infatti, sta destando preoccupazione l’incremento dell’organico diplomatico dell’ambasciata della Russia a Belgrado, dove si è verificato un recente aumento degli addetti, passati da cinquantaquattro a sessantadue in poco meno di un anno.

Ma quale è il “curriculum” dei nuovi “diplomatici”? Quello che emerge, sottolineato anche da Radio Free Europe, una radio francese che si sostiene con i finanziamenti del Congresso Usa, è che tutti i nuovi arrivati sono stati riciclati da altre sedi diplomatiche del Cremlino presenti nei Paesi dell’Unione europea, dalle quali erano stati espulsi. Tre di questi diplomatici riciclati nel 2022 furono accusati di spionaggio dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quindi espulsi dai Paesi Ue. Quest’operazione di “reimpiego” delle “risorse umane” russe non deve essere considerata solo un ricollocamento in una ambasciata di un Paese, la Serbia, più “predisposta” a operazioni di spionaggio russe, ma una manovra orchestrata dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, in una logica a ampio raggio che vede l’attivismo russo nei Balcani occidentali e nelle zone limitrofe teso a contrastare l’influenza e i condizionamenti/le pressioni della diplomazia europea.

Ricordo che la Serbia è candidata all’adesione all’Ue da dieci anni, ma senza aver mai compiuto progressi significativi. Tuttavia, come disse lo scorso novembre – a Berlino – il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, “l’Europa senza i Balcani occidentali non è completa”. Allo stesso tempo, se la Germania ha sempre sostenuto la causa serba, la Francia e i Paesi Bassi non sono stati così espansivi e non hanno mai agevolato qualsiasi allargamento, legando la decisone ai laboriosi processi decisionali nell’Unione. Comunque, la Serbia non applica le sanzioni contro la Russia. In realtà, il suo presidente, Aleksandar Vucic, è un abile equilibrista che cammina sulla corda dell’ambivalenza tra Bruxelles e Mosca, considerando il ruolo dell’influente Chiesa ortodossa serba, che funge da amplificatore regionale per le operazioni politiche condotte del patriarca Kirill a Mosca.

Come già scritto in un precedente articolo, dove trattavo dei mercenari Wagner, a gennaio il presidente Aleksandar Vucic ha caldamente protestato per la diffusione di un video trasmesso da una tv serba filorussa, occultamente di propaganda, dove venivano date le coordinate per arruolarsi nel gruppo mercenario Wagner. Così, mentre l’Occidente è appollaiato al capezzale dove si sta celebrando la carneficina organizzata da Vladimir Putin contro gli ucraini e che sta infliggendo enormi lutti anche ai russi, il “secondo fronte” sta guadagnando terreno. Una guerra ibrida, portata avanti con la manipolazione delle informazioni, con il foraggiamento delle tensioni sociali, con il ricatto del gas, con le minacce sulla fornitura di cereali all’Africa, con il condizionamento dei flussi migratori, magari dirottandoli verso l’Italia. Il tutto finalizzato a indebolire l’Ue e l’Occidente in generale.

Ma i primi a subire il “secondo fronte” sono quei Paesi fuoriusciti dal poco paterno abbraccio sovietico; Stati vulnerabili, che tuttavia sono ancora nell’orbita imperiale di Mosca”: non sono né nell’Ue, né nella Nato ma agognano sempre più per entrarvi. Tra questi la Moldavia, inserita tra la Romania e l’Ucraina, che ha una regione del suo territorio, la Transnistria, abitata da una popolazione russofona “protetta” da circa millecinquecento soldati russi. Questo è un noto obiettivo russo interessato da sistematiche operazioni di destabilizzazione.

La regione balcanica occidentale è segnata da cronici e arcani conflitti, lontani da essere risolti. Come in Bosnia–Erzegovina oppure tra Serbia e Kosovo: tutte aree dove il mantello della Russia, storico alleato della Serbia, non smette di avvolgere, in modo equivoco, ogni aspetto sociale-economico e politico. L’invasione russa dell’Ucraina ha impegnato l’Unione europea e gli Stati Uniti nel sostenere Kiev, ma ha altresì reso necessario un forte impegno europeo-occidentale nell’area balcanica, per non permettere una destabilizzazione di questa regione, poiché rappresenterebbe un fattore deflagrante e una pericolosa escalation per il vacillante sistema geostrategico europeo. Insomma, abbiamo il fronte ucraino, il fronte balcanico e, da non dimenticare, il fronte africano, all’interno del quale la Russia fornisce il 48 per cento delle armi al Continente. E dove sta imbastendo cooperazioni militari con sempre più Stati africani filorussi.

Aggiornato il 21 marzo 2023 alle ore 10:19