Asse Mosca-Pechino-Teheran: le Bermuda della Geopolitica

Come sta cambiando l’orientamento della geopolitica mondiale? Partiamo dall’Asia, dove Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan hanno risposto con entusiasmo all’invito di Xi Jinping per incontrarsi nell’ex città imperiale di Xi’an, mentre si sono mostrate reticenti a presenziare sulla Piazza Rossa, al fianco di Vladimir Putin, alla sfilata del 9 maggio, anniversario della Vittoria sul nazismo.

Per capire il ribaltamento, basta dare un’occhiata ai dati economici dell’import-export tra l’insieme degli Stan State e la Cina, mediamente cresciuti nell’ultimo decennio di alcuni punti in percentuale rispetto a quelli con la Russia. Ad esempio, più del 60 per cento dell’export di materie prime energetiche del Turkmenistan va in Cina (grazie a un gasdotto che trasporta 100 milioni di metri cubi di gas al giorno, attenuando così la dipendenza cinese dai giacimenti siberiani), mentre più del 50 per cento delle importazioni del Kyrgyzstan e, in parte, del Tajikistan provengono dalla Cina stessa.

Ma è politicamente che Pechino intende volgere a suo favore le relazioni in Asia Centrale, indebolendo significativamente i legami e l’antica alleanza/dipendenza tra le ex Repubbliche sovietiche asiatiche e Mosca. Il tutto passa oggi attraverso l’offensiva di charme cinese per la costruzione di grandi infrastrutture interregionali, da finanziare con i capitali della Belt & Road Initiative, progetto-faro della nuova strategia geopolitica di Xi. In questo quadro, si inserisce il faraonico progetto per 4 miliardi di dollari di una mega dorsale ferroviaria, destinata a passare per il Kyrgyzstan e l’Uzbekistan fino ad arrivare alle porte dell’Europa, bypassando la Russia.

L’obiettivo di Pechino è chiaro: rafforzare la sicurezza nella regione di confine dello Xinjiang per arginare il terrorismo “islamista e separatista” (degli Uiguri, ovviamente) e guadagnare in profondità strategica per contrastare “l’accerchiamento americano”. Anche se la Cina è convinta di un declino politico-economico irreversibile della Russia di Putin, Xi deve fare la massima attenzione a non irritare Mosca, evitando di rimettere in discussione il presunto monopolio politico di Putin, che si vuole garante e protettore della sicurezza territoriale degli Stan State dopo la dissoluzione dell’Urss. Gioca a favore di Xi, in tal senso, l’esigenza dei suoi vicini di diversificare le proprie alleanze tradizionali, non sentendosi più al sicuro dall’ingombrante presenza russa a seguito dell’invasione dell’Ucraina. È bene però che l’Occidente non si faccia grandi illusioni a proposito di una crescente rivalità tra Cina e Russia, tale da rimettere in discussione il più volte proclamato e riaffermato “partenariato senza limiti” per fare fronte comune contro l’Occidente. L’offensiva diplomatica di charme nei confronti dei Paesi asiatici dell’ex Urss mostra un rilancio in grande stile della politica estera cinese post-Covid, che ha permesso a Pechino di mediare il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, mettendo così fuori gioco la diplomazia americana in Medio Oriente.

Il che, tra l’altro, illustra la grande determinazione di Xi nello stringere rapporti sempre più stretti con gli Stati autoritari del Global South, traendo vantaggio dai loro sentimenti anti-americani rafforzati dalla condivisione ideologica da parte cinese della superiorità dei sistemi autoritari in contrapposizione con alle democrazie liberali. Formula quest’ultima che aderisce benissimo all’esigenza degli Stati dell’Asia centrale di evitare qualche altra “rivoluzione colorata”, sul tipo di quella avvenuta in Kazakistan nel 2022, per l'introduzione anche nei loro Paesi della democrazia. Pechino tende a rassicurare tutti i regimi autoritari della regione, rivendicando ufficialmente in tutte le sedi internazionali il principio di “non ingerenza” negli affari interni dei Paesi sovrani, soprattutto per il mancato rispetto dei diritti umani. Nel sommovimento geopolitico euroasiatico, altri due grandi protagonisti come Russia e Iran hanno stretto da tempo rapporti saldissimi tra di loro in funzione anti-occidentale, come sta a dimostrare la vendita dei droni iraniani Shaheed a Mosca dopo l’avvenuta invasione dell’Ucraina. La contropartita di questa fornitura di parecchie centinaia di droni consente all’Iran di ottenere da Mosca armi pesanti, aerei moderni e sistemi antimissile che Teheran non potrebbe mai acquistare altrove, a causa delle sanzioni internazionali.

La contrapposizione storica tra impero russo contro quello persiano appare ormai come un ricordo lontano, in presenza di un nemico planetario comune come il Global West, anche se loro nuova, reciproca alleanza appare nettamente orientata sul piano tattico e non strategico. Dal 2014, infatti, tutto quello che avviene sul fronte ucraino ha riflessi evidenti in quello siriano, dove Mosca e Teheran si trovano alleati per la permanenza al potere di Bashar al-Assad, in funzione anti-occidentale. E se, finora, Mosca ha tollerato i raid dell’aviazione d’Israele ai confini con la Siria per colpire le postazioni degli Hezbollah iraniani, con l’evoluzione dei rapporti Mosca-Teheran questo atteggiamento potrebbe cambiare, aumentando notevolmente le tensioni nell’area e i rischi di un nuovo conflitto in Medio Oriente. Per gli ayatollah, quindi, il Triangolo (geopolitico) delle Bermude, Mosca-Teheran-Pechino, è qualcosa di molto di più di un modo di dire, facendo ormai parte integrante di una vera e propria alleanza ideologica che vede la loro Triade unita nella ricerca di un “nuovo ordine internazionale”, in contrapposizione a quello dello Stato di diritto voluto dalle democrazie occidentali.

Sull’altro versante, si sono ugualmente rafforzate negli ultimi anni le relazioni tra Cina e Iran, con un accordo venticinquennale di partenariato, e con Pechino che ha continuato ad acquistare petrolio iraniano non aderendo alle sanzioni internazionali contro Teheran. Sul piano multilaterale, poi, Mosca e Pechino hanno aperto all’ingresso di Teheran all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, organismo intergovernativo fondato nel 2001 da sei Paesi, Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Il mondo cambia rapidamente senza (o contro!) di noi, come si vede. Bisognerebbe uscire dal letargo con una leadership occidentale unita e forte, ma per ora non ne siamo capaci.

Aggiornato il 23 maggio 2023 alle ore 11:29