Ucraina come Israele: l’idea dei leader occidentali

mercoledì 24 maggio 2023


Tra le cancellerie occidentali – e soprattutto alla Casa Bianca – prende corpo l’ipotesi di fare dell’Ucraina una sorta di “Israele d’Europa”, vale a dire un Paese protetto e armato dagli Usa, con un rapporto privilegiato con Washington e le capitali europee, con specifiche garanzie di sicurezza, ma non facente parte della Nato.

Effettivamente, l’excursus storico tra i due Stati nei rapporti con l’America è molto simile. Era il 1962 quando gli Stati Uniti, allora sotto la presidenza di John Fitzgerald Kennedy, iniziarono a vendere a Israele armi letali, come lancia-missili e tank. La scelta filo-israeliana si consolidò sempre di più negli anni seguenti e non venne mai messa in discussione da nessun successore di Kennedy, a prescindere dall’orientamento politico. Il motivo di tale scelta si comprende facilmente: i timori americani circa la crescente influenza sovietica nei Paesi arabi aveva reso necessario, per Washington, la creazione di una fortezza anti-sovietica nella regione, da dove controllare e contrastare le attività nemiche nell’area. Nel tempo, questo ruolo mutò, ma non in termini di importanza: dopo il crollo dell’Urss, da roccaforte filo-americana e anticomunista quale era Israele divenne bastione della democrazia liberale e della laicità in un mondo arabo che stava riscoprendo l’islamismo politico, e che assisteva a un rapido risveglio del fondamentalismo religioso, con tutte le conseguenze che conosciamo. Oggi Israele riceve generosi aiuti militari dagli Usa, che annualmente stanziano circa quaranta miliardi di dollari per la sicurezza del Paese: si tratta di fondi ad hoc previsti da un memorandum in vigore dal 1983 e rinnovato nel 2016.

La storia sembra quasi ripetersi con l’Ucraina. Con la Rivoluzione Arancione del 2008 ed Euromaidan nel 2014 – definito “golpe” dalla Russia e dai suoi sostenitori occidentali, ma in realtà solo presa di coscienza di una nazione stanca di essere un protettorato russo e di essere governata dai burattini di Mosca come Viktor Yanukovich – l’America di Barack Obama si accorse in ritardo dell’importanza strategica di quell’area al fine di contrastare il rinascente imperialismo autoritario e militarista della Russia di Vladimir Putin. Se fino ad allora gli aiuti americani a Kiev – ed ecco una delle tante ragioni per le quali non ha alcun senso parlare di “golpe” in riferimento a Euromaidan – si erano limitati agli armamenti non offensivi, a partire dal 2015 Usa e Gran Bretagna iniziarono ad addestrare i soldati ucraini. Un errore di valutazione non da poco quello di Obama e dei suoi consiglieri, considerando che Putin aveva già occupato la Crimea (nel silenzio colpevole e vigliacco dell’Occidente) e che già da anni era in corso una guerra ibrida contro l’Ucraina, nel tentativo, da parte del Cremlino, di “russificare” nuovamente una nazione che si stava rapidamente occidentalizzando e un’opinione pubblica sempre più insofferente nei riguardi dell’invadenza della Russia negli affari nazionali. Nel 2016 fu Donald Trump ad “alzare l’asticella” e a iniziare a inviare armamenti letali a Kiev (come i missili Javelin), in polemica con l’azione, giudicata “tiepida”, del suo predecessore. Solo lo scorso anno, con lo scoppio della guerra, l’Amministrazione di Joe Biden ha deciso di armare l’Ucraina seriamente e a oltranza.

L’adesione dell’Ucraina alla Nato è una strada in salita, come sanno benissimo a Washington. Le pressioni americane potrebbero non essere sufficienti per garantire il placet di Paesi come l’Ungheria – che ha rifiutato di inviare armi a Kiev e che si è dimostrata riluttante anche sulle sanzioni – la Turchia, che pur inviando armi all’Ucraina ha sempre voluto ritagliarsi un ruolo da negoziatore, o la stessa Germania – che ha già frenato sull’ipotesi – i quali potrebbero mettersi di traverso e vanificare tutto.

Inoltre, si tratterebbe di un processo che richiederebbe del tempo. Un tempo che gli ucraini non hanno e che i russi potrebbero usare per riorganizzarsi e tornare alla carica. Di conseguenza, si starebbe seriamente prendendo in considerazione l’idea di un accordo che preveda la mutua difesa stile articolo 5 della Nato e il regolare invio di armi in Ucraina, al fine di fare della stessa una sorta di bastione anti-russo capace di fungere da deterrente, una fortezza impenetrabile e militarizzata dalla quale controllare le attività di Mosca e, al tempo stesso, impossibile da aggredire senza scontrarsi direttamente con gli Usa.

A rivelare l’esistenza di questo piano è il presidente polacco Andrzej Duda in un’intervista al Washington Post, che spiega alla testata americana come gli Alleati, non potendo assicurare all’Ucraina l’ingresso nella Nato, starebbero pensando al “modello Israele” come garanzia di sicurezza e stabilità. L’obiettivo – spiega Duda – è quello di costruire una deterrenza più credibile e di rafforzare l’influenza americana nell’area (essendo gli Usa l’unica potenza nucleare capace di intimidire Mosca). Questo anche per far capire al Cremlino che il sostegno occidentale a Kiev non verrà meno col tempo e che, dunque, non ha senso protrarre una guerra impossibile da vincere nella speranza che gli Alleati si stanchino e desistano rispetto al loro proposito.

Il “modello Israele” piacerebbe e potrebbe soddisfare anche l’Ucraina: a concepirlo, in realtà, e a farne una proposta da sottoporre agli Alleati, è stato Andriy Yermak, capo-gabinetto di Volodymyr Zelensky. La controffensiva di Kiev, che dovrebbe portare alla liberazione di tutti i territori occupati e alla definitiva cacciata dei russi dal Paese, avrà successo a condizione che le cancellerie occidentali mantengano le promesse, fornendo agli ucraini tutto il necessario perché ciò avvenga. È anzitutto nel loro interesse, se si considera che il prezzo politico di un eventuale fallimento sul campo sarebbe altissimo per i leader occidentali. Ed ecco perché lo scenario israeliano riscuoterebbe l’appoggio dell’asse euro-atlantico.

Va da sé che il “modello Israele” comporti la rinuncia a ogni ipotetica pace, che comunque non è mai stata un’opzione realistica. L’odio tra ucraini e russi generato dalla guerra difficilmente si placherà. Cosa significherà questo per l’Ucraina? Dal punto di vista strategico, diventerà il principale avamposto anti-russo a livello globale, cosa che assicurerà la sua sopravvivenza come nazione e all’Occidente il contenimento della Russia. Sempre per Kiev, questo potrebbe comportare un enorme sviluppo del Paese in termini economici, tecnologici, militari e politici, raggiungendo così quella libertà tanto desiderata ma mai veramente raggiunta con l’indipendenza nel 1991.


di Gabriele Minotti