Cile: un processo durato 37 anni

giovedì 11 gennaio 2024


Sono molte le motivazioni che rendono indimenticabile una dittatura, ma a volte capita che siano i processi a riportare alla mente periodi complessi. In Cile un tribunale ha emesso sentenza dopo trentasette anni dall’accadimento criminoso; in particolare venerdì 5 gennaio la Corte suprema del Cile ha condannato a vent’anni di reclusione quattro soldati, ora in pensione, considerati i rei del cosiddetto caso dei “Quemados” ovvero “i bruciati”. Un episodio oscuro quello accaduto il 2 luglio 1986, quando nel quadro di uno sciopero nazionale contro la dittatura militare di Augusto Pinochet (1973-1990), quattro soldati del regime arrestarono, malmenarono e dettero fuoco con benzina a due giovani manifestanti: la diciottenne Carmen Gloria Quintana studentessa universitaria che sopravvisse alle ustioni, e il fotografo diciannovenne Rodrigo Andrés Rojas de Negri, che morì dopo quattro giorni.

I pensionati, ex militari del regime, sono: Nelson Medina Galvez, Julio Castañer Gonzalez, Pedro Fernandez Dittus e Ivan Figueroa Canobra ai quali è stata comminata la ventennale pena carceraria per l’omicidio di Rojas de Negri e il tentato omicidio di Carmen Gloria Quintana. Nel 1986 erano passati tredici anni dal colpo di Stato di Augusto Pinochet – avvenuto l’11 settembre 1973 – che depose Salvador Allende eletto democraticamente il 4 settembre 1970, con il trentasei per cento dei voti. Allende era a capo di un’ampia coalizione di sinistra, denominata Unità popolare. In quegli anni la Guerra fredda era in pieno svolgimento. Fin dal trionfo di Fidel Castro nel 1959, Washington era ossessionata dal rischio che un Paese sudamericano potesse rispecchiare la svolta di Cuba. Il presidente americano Richard Nixon (1969-1974) dopo avere constatato, dolorosamente, la vittoria di Allende, dichiarò che “questo figlio di putxxxa” doveva essere eliminato. Il sabotaggio che costruì fu quello di ordinare operazioni di destabilizzazione, in particolare finanziando gli scioperi, con lo scopo di dissanguare l’economia cilena. Tuttavia, la Cia – Central intelligence agency – non intervenne sulla deposizione di Allende, come in Guatemala nel 1954, dove fu proprio l’Agenzia di Intelligence a operare direttamente, ma furono artefici del Colpo di Stato le forze armate cilene.

L’opposizione interna era forte, ed anche molto articolata, già dal 1971. Le variegate opposizioni, non solo composta dalla destra radicale ma anche dalla borghesia e da magnati che vedevano la nazionalizzazione delle materie prime con profonda ostilità, ostacolarono il consolidamento di Allende. Come le classi medie timorose di una “sovietizzazione” non mostrarono mai grande afflato con la sinistra al Governo. Quindi, una coalizione governativa fragile a causa dei forti dissensi tra la linea politica di Allende, rigida sul rispetto della legalità su base democratica, e l’altra linea rappresentata essenzialmente dal Mir, Movimento della sinistra rivoluzionaria, oppresso dal pensiero di un imperialismo statunitense nella regione e che fomentava una rivoluzione armata nella regione a fronte delle voci di un colpo di Stato. Questi fattori non incisero sulla dinamica della concretizzazione del colpo di Stato. Comunque, Augusto Pinochet appartenente alla Massoneria cilena, avvertì Salvador Allende anche lui Massone, che lo avrebbe deposto. Così l’11 settembre 1973 si compì il colpo di Stato, dando poi avvio alle note persecuzioni durate fino al 1990 e che causarono la morte o la scomparsa di almeno tremilatrecento persone.

In questo scenario, si celebrarono le violenze che oggi vengono riesumate con questo processo, lungo e molto impegnativo, che sigilla – con questa sentenza – una questione dolorosa anche nei principi di una giustizia “differita”. Insomma, un processo durante il quale è stato necessario contestare la tesi ufficiale, del Regime, diffusa al momento che affermava che i giovani si erano bruciati perché portavano bombe incendiarie sotto i vestiti. Un oscuro fatto, come altri, dove la verità impiega troppo tempo a emergere. Ma almeno alla fine è emersa.


di Domiziana Fabbri