Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha annunciato il lancio di una nuova operazione militare denominata Southern Spear, presentata come un’azione su larga scala contro i narcoterroristi attivi nell’emisfero occidentale. La missione, affidata alla Joint task force Southern Spear e al Comando sud (Southcom), punta – come ha dichiarato Hegseth – a difendere “gli Stati Uniti, rimuovere i narcoterroristi dal nostro emisfero e proteggere la nostra patria dalla droga che sta uccidendo il nostro popolo”.
L’annuncio arriva in un contesto di crescente intensificazione delle attività militari statunitensi: solo lunedì, l’esercito americano ha effettuato il suo 20° attacco contro una presunta imbarcazione coinvolta nel traffico di droga. Dall’inizio della campagna, Washington rivendica l’eliminazione di almeno 80 narcoterroristi. Dieci giorni fa il Wall street journal aveva anticipato la possibilità di un’escalation, rivelando che il presidente Donald Trump stava valutando un’operazione diretta in Venezuela. Secondo il quotidiano, sarebbero già stati selezionati i potenziali obiettivi – porti, aeroporti e infrastrutture navali in uso alle forze armate venezuelane – anche se una decisione finale non è ancora maturata. Nelle ore successive all’annuncio, due navi da guerra statunitensi sono state avvistate a circa 50 chilometri dalla costa dello Stato venezuelano di Falcón, all’interno della Zona economica esclusiva ma in acque internazionali. Si tratta del cacciatorpediniere USS Stockdale, classe Arleigh Burke, e dell’incrociatore USS Gettysburg, classe Ticonderoga, impegnati in una manovra congiunta interpretata dagli analisti come un ulteriore segnale di pressione militare su Caracas.
Dati satellitari e registri marittimi mostrano come le due unità abbiano proceduto in formazione da ovest verso est, costeggiando Aruba e Curaçao prima di posizionarsi davanti al litorale venezuelano. La loro presenza simultanea – entrambe dotate del sistema di combattimento Aegis e di avanzate capacità di difesa aerea e offensiva – si inserisce nel più ampio dispiegamento militare avviato da Washington nel Mar dei Caraibi da settembre, ufficialmente per colpire reti narco-terroristiche e gruppi criminali transnazionali. Il transito avviene tuttavia in un momento di crescente frizione diplomatica tra i due Paesi, acuita dalla recente presenza nell’area del gruppo da battaglia della portaerei Gerald R. Ford.
In risposta, il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha lanciato un appello diretto al commander-in-chief statunitense, invitandolo a “unirsi per la pace del continente” durante una manifestazione filogovernativa a Caracas. “No ad altre guerre eterne, no a più guerre ingiuste, basta Libia, mai più Afghanistan. Che viva la pace”, ha annunciato il leader chavista, che però non teme un intervento militare: “Siamo occupati a governare con la pace”. Anche il presidente del Parlamento, Jorge Rodríguez, ha avvertito delle “conseguenze incalcolabili” di un eventuale conflitto nei Caraibi, denunciando come il dispiegamento ordinato da Trump rappresenti “la forma massima di aggressione”. Secondo Rodríguez, l’operazione navale anti-narcos avrebbe come vero obiettivo un cambio di regime a Caracas, minacciando un governo che definisce (coraggiosamente) “legittimamente costituito”. Il ministro degli Esteri Yván Gil ha rincarato la dose, affermando che Caracas “non ha alcuna controversia con gli Stati Uniti”, ma sarebbe “minacciata unilateralmente da un Paese che usa la sua capacità di generare morte e distruzione”. Per Gil, la manovra navale statunitense equivale a “un tentativo di invasione” e costituirebbe una violazione del diritto internazionale.
Anche il Cremlino ha auspicato – dopo la richiesta di aiuto di Maduro – che gli Usa non intraprendano azioni che provochino una “destabilizzazione” della situazione in Venezuela e nei Caraibi. “Speriamo che non vengano intraprese azioni che possano portare a una destabilizzazione della situazione nel bacino dei Caraibi e intorno al Venezuela, e che tutto avvenga in conformità con il diritto internazionale”, ha dichiarato il megafono di Vladimir Putin Dmitry Peskov, aggiungendo che “il diritto internazionale ora si trova in uno stato pietoso in molte parti del mondo”.
Aggiornato il 14 novembre 2025 alle ore 14:33
