Life watch, la morte ha i minuti contati

giovedì 26 marzo 2015


Ultima frontiera della tecnologia? Piuttosto ultima frontiera della follia. La notizia di una app, ideata per il nuovo ultimissimo device con la mela, l’iWatch, lascia alquanto perplessi, per usare un eufemismo. In poche battute la novella applicazione, che si chiama per l’appunto “Life Watch”, informa l’utente del tempo che gli resta da vivere. Secondo i creatori dovrebbe configuarsi come un progetto teso a stimolare gli utenti verso best practice di vita sana.

“Vogliamo incoraggiare le persone a fare delle scelte giuste, dando una dimostrazione tangibile di come le azioni di oggi hanno un impatto sul futuro” ha dichiarato Tom Le Bree, partner di Rehabstudio, l’azienda che ha progettato l’applicazione. La app funziona così: utilizza i parametri dell’utente, in termini di stato di salute, e stima il tempo che ha ancora a disposizione prima della “dipartita”… Un po’ macabro verrebbe da commentare. Anche perché c’è da chiedersi quanti in verità ambiscano acquisire questo tipo di informazione. E non vogliamo poi aprire una querelle sull’attendibilità della stessa. La stima però varia a seconda dei comportamenti dell’utente – e qui arriva il bello !?! – che perde o guadagna minuti a seconda delle proprie abitudini. Una sorta di videogame, dove la posta in gioco è la vita stessa!?!

Mangiare verdure o praticare attività sportiva sono giudicati comportamenti virtuosi – fatto salvo che uno soffra di colite o sia cardiopatico, ma questo alla app sfugge! – e consentono quindi di conquistare minuti “bonus”. Dormire poco o bere alcolici sono invece atteggiamenti negativi e “perseguibili”, e vanno quindi puniti con la sottrazione di frammenti di vita… Quel che lascia basiti è scoprire che in verità l’applicazione Life Watch non è la prima nel suo genere. Esistono infatti già app per iPhone che funzionano con lo stesso meccanismo. “Deadline” – e già il nome la dice lunga – è una di quelle, ed è persino a pagamento.

Ai cinefili incalliti – tra i quali rientra a pieno titolo chi scrive – non sarà sfuggito il rimando al lungometraggio del 2011 di Andrew Niccol, “In time”, interpretato da Justin Timberlake e Amanda Seyfried. Nel film Justin interpreta un ragazzo che ha 25 anni da tre anni ed è animato dalla la volontà di resistere in un mondo in cui il tempo che resta da vivere è denaro, scandito al secondo da un onnipresente countdown.

Il film di Niccol rappresenta un’eccellente metafora in cui il regista si interroga sul nostro essere al mondo in un orizzonte di senso in cui l’uomo ha cessato di essere “umano” per diventare merce, e come tale negoziabile e scambiabile sul mercato della vita. Ma quello era solo un film di fantascienza. Siamo proprio sicuri che la tecnologia possa aiutarci anche in queste delicate vicende? La vita e la morte sono condizionate da infinite variabili che nessuno è in grado di controllare, spesso appese al filo della casualità, del destino o della fortuna. La nostra vita, il nostro presente e il nostro futuro crediamo meritino qualcosa in più dei suggerimenti di un’app!


di Elena D’Alessandri