Ricerca/innovazione: il genio italiano

lunedì 4 settembre 2017


Poche persone sanno, o ricordano, che all’origine di molti oggetti utilizzati quotidianamente ci sono inventori italiani. All’estero hanno più memoria di noi e sono consapevoli dell’apporto che il popolo italiano ha avuto nel progresso e, in particolare, nei settori tecnologici e scientifici.

Tra gli oggetti rivoluzionari che fanno parte del quotidiano e che hanno contribuito a migliorare le nostre condizioni di vita c’è il telefono, brevettato nel 1871 da Antonio Meucci, o la radio concepita nel 1895 da Guglielmo Marconi. La prima lampadina elettrica a incandescenza fu accesa il 5 maggio del 1880 e a farlo fu un italiano, Alessandro Cruto, anticipando Thomas Edison. Sempre italiana è l’invenzione della pila, l’antenata delle moderne batterie che servono per far funzionare i dispositivi portatili. A collaudarla fu Alessandro Volta intorno al 1880. Ancora oggi, nel mondo, l’unità di misura della differenza di potenziale elettrico prende il nome di volt e il fenomeno che consente il funzionamento delle pile si chiama effetto Volta.

Ma continuiamo il nostro viaggio negli oggetti che ci hanno cambiato la vita. Come non parlare allora del computer, l’innovazione tecnologica che ha maggiormente rivoluzionato la nostra quotidianità? Dai mastodontici computer degli anni Settanta, si è passati ai personal computer e poi ai notebook, e infine ai tablet. Una tecnologia il cui successo non conosce precedenti. Quando si parla di questi ingegnosi dispositivi la nostra mente evoca personaggi di tutto rispetto come Steve Jobs o Bill Gates. Ma quanti di noi si ricordano di Pier Giorgio Perotto? È a questo ingegnere che dobbiamo l’invenzione della prima macchina calcolatrice con stampante, considerata il primo personal computer da tavolo. La concepì nel 1962 negli stabilimenti della Olivetti, ad Ivrea, con il nome di Programma 101. Gli americani provarono anche a copiarlo, lo fece la Hewlett-Packard ma perse la causa e fu costretta a pagare 900mila dollari di risarcimento. L’ingegno e la creatività italiana non si fermano qui. Oltre al computer, anche il primo microprocessore al mondo porta la firma di un italiano, Federico Faggin. Fu proprio l’ingegnere vicentino a inventare nel 1971, per l’americana Intel, il “microchip”, un componente elettronico miniaturizzato che ancora oggi è il “cervello” dei computer.

Il contributo di questi inventori è stato fondamentale per il progresso tecnologico. E se oggi possediamo dispositivi smart e confortevoli come i telefoni mobili è anche grazie a loro. Perdere questa memoria storica non giova alla nostra identità. Con questo non intendo dire che dobbiamo vivere di rendita, ma neanche mortificare il settore che più è congeniale alle attitudini degli italiani: la ricerca e l’innovazione. Ci sono intelligenze depresse che attendono solo di essere liberate dalle catene dell’austerità. Pur avendo scienziati e ricercatori di prim’ordine in tutte le discipline, investiamo in ricerca un terzo di quello che investono gli Stati Uniti e il Giappone, e la metà di Francia, Germania e Regno Unito. E così rimaniamo inermi dinanzi al fenomeno della “fuga di cervelli”. Sono molti gli italiani che partecipano attivamente alla ricerca internazionale all’estero e, non di rado, apprendiamo dai giornali che certe scoperte apparentemente straniere si rivelano essere italiane. I nostri ricercatori sono presenti ovunque, ma principalmente negli Stati Uniti, in Canada, in Argentina e in vari Paesi europei. E anche se questa fuga rappresenta per noi una grave perdita ec contribuiscono comunque alla ricchezza culturale dell’Italia agendo dall’estero. Per fortuna, c’è chi investe, molto più di noi, sui nostri talenti. Ed è questo il motivo per cui il nostro Paese figura in prima linea in due importantissimi progetti su cui la Commissione Europea ha deciso di puntare per il futuro con un finanziamento di 2 miliardi di euro: il grafene e il cervello artificiale.

Grafene

Trasparente, leggerissimo, indistruttibile, il grafene, definito “la plastica del futuro”, potrà essere utilizzato in un’infinità di settori: pannelli solari più leggeri ed ecocompatibili; batterie più performanti e di lunga durata; scatole per immagazzinare l’idrogeno; filtri per rendere potabile l’acqua del mare; nuovi touch screen ultraflessibili. L’Europa ha compreso le potenzialità di questo prezioso materiale al punto che ha deciso di investirci un miliardo di euro. Il progetto Graphene flagship riunisce 126 gruppi di ricerca provenienti da 17 nazioni europee. In questa operazione, l’Italia ricopre un ruolo centrale, assicurandosi la leadership in 3 filoni di ricerca su 10 e oltre l’11% del finanziamento complessivo. Grazie al grafene, l’Italia potrebbe rilanciare le sue possibilità tecnologiche nella produzione e nello sviluppo di dispositivi per l’Ict.

Cervello artificiale

L’Italia gioca un ruolo di primo piano anche nello Human Brain Project, un progetto di dimensioni europee che si propone di riprodurre un “cervello artificiale” grazie all’uso di supercalcolatori. Per il progetto la Commissione europea ha previsto un investimento complessivo di circa 1,2 miliardi di euro in dieci anni. Per riuscire nell’ambizioso intento di ricreare tutte le caratteristiche del cervello umano all’interno di un computer, l’Europa confida sull’Italia. Lo Human Brain Project sarà condotto dal Politecnico di Losanna e dal Politecnico di Torino con la collaborazione delle Università italiane di Pavia e Firenze. Grazie a questo progetto sarà possibile studiare e trovare nuove cure per le principali malattie degenerative delle cellule celebrali, come Alzheimer e Parkinson.

Indubbiamente il genio italico con la sua creatività e libertà non poteva soccombere inerme alla più grave crisi della modernità e, anche se il sistema economico italiano viene descritto come scarsamente propenso a innovare, vantiamo primati di tutto rispetto in settori caratterizzati proprio da un alto tasso di innovazione come la robotica di servizio, le biotecnologie, i nuovi materiali, le neuroscienze, la fisica delle particelle. Un esempio su tutti è costituito dalla produzione di dispositivi medico-chirurgici dove l’Italia si è contraddistinta per una supremazia che assume un significato rilevante in questo particolare momento perché è collegata ad una emergenza sanitaria mondiale: il virus ebola. Pochi sanno che le sacche per trasportare in tutto il mondo i malati di ebola in sicurezza a bordo di aerei e ambulanze vengono prodotte in Italia. Tecnoline, questo il nome dell’azienda esportatrice, si trova in provincia di Modena e circa due anni fa, quando ci furono i primi casi di ebola, mise a punto una sacca di contenimento per trasferire i malati senza rischio di contagio per il personale sanitario. Al mondo non c’è nessun’altra azienda che produce un dispositivo simile. Inizialmente il suo unico acquirente era l’esercito italiano, ora riceve commesse dai militari inglesi e da molte altre società europee. Ma la storia di questa azienda è resa ancora più suggestiva da un episodio avvenuto nel maggio del 2012, quando a causa del terremoto in Emilia, uno dei suoi due stabilimenti, a Mirandola, crollò e la produzione si bloccò. Tuttavia, il titolare dell’azienda e i suoi dipendenti non si sono arresi e nel giro di sei mesi si sono rimessi in gioco riavviando la produzione nel nuovo capannone di Concordia. Oggi, l’azienda ha ripreso a pieno ritmo la sua attività di contoterzista per le grandi multinazionali del distretto biomedicale di Mirandola.

Quelli che ho riportato sono solo alcuni esempi che dimostrano come l’Europa confidi nelle grandi potenzialità degli italiani. E non solo l’Europa. Se ci credono gli altri, perché non dobbiamo crederci anche noi?


di Andrea Di Maso