I passaggi fondamentali della fisica contemporanea

La storia della fisica moderna – la quantistica è l’evoluzione della fisica classica – comincia all’inizio del secolo scorso. Alla fine dell’Ottocento si cercava quale fosse la migliore tecnologia per illuminare le strade tra il gas e l’elettricità. Si voleva sapere quale forma di illuminazione producesse, a parità di costo, più luce. Bisognava capirlo scientificamente, non solo soggettivamente. Come misurare le grandezze elettriche? Si prese una cavità vuota incandescente cui si praticò un foro, si confrontarono le differenti tipologie di emissione della luce. La radiazione emessa si chiamò “radiazione di corpo nero”: rappresentava la “luce ideale”, utile cioè per il confronto tra le diverse sorgenti di luce.

Si sapeva che lo spettro della radiazione del corpo nero dipendesse solo dalla temperatura, ma l’equazione alla sua base era ignota. Il corpo nero era, in pratica, l’oggetto ideale in grado di assorbire tutta la radiazione elettromagnetica incidente. Si giunse alla determinazione della forma esatta dello spettro della radiazione del corpo nero grazie ai fisici Heinrich Rubens e Ferdinand Kurlbaum, ma rimaneva un mistero non risolvibile con gli strumenti della fisica classica. Nell’ottobre del 1900 il fisico teorico Max Planck trovò l’agognata formula matematica relativa alla radiazione di un corpo nero. Guidato dalla sua formula, Planck era stato costretto a ritenere che l’energia non fosse più, come si era pensato sino ad allora, un flusso continuo, ma un insieme di pacchetti discreti: i quanti. Planck presentò le sue fondamentali scoperte il 14 dicembre 1900, data cui si fa risalire la nascita della fisica quantistica. L’equazione che presentò costituisce una tra le equazioni più significative della storia della fisica: E=hv, denominata legge di Planck. Vale a dire che l’energia E di un quanto di luce equivalente al prodotto tra la frequenza v della luce e la costante di Planck h.

Nel 1904 Hendrik Lorentz sviluppò le fondamentali trasformazioni alla base della relatività ristretta. Le trasformazioni di Lorentz sono la base della teoria rivoluzionaria che Albert Einstein sviluppò. Il 1905 fu l’annus mirabilis di Albert Einstein. Sviluppò la teoria della relatività ristretta, in cui spazio e tempo diventano relativi, la velocità della luce è un limite invalicabile, e formulò la nota legge E=mc2.

Semplificando molto, Einstein affermò che: lo spazio e il tempo sono relativi, cioè che un corpo si muove sempre in relazione a qualcosa, e non in assoluto; non ha senso parlare di spazio distaccandolo dal tempo , ma che sia corretto parlare di spazio-tempo; le leggi fisiche sono le medesime in tutti i sistemi di riferimento inerziali; la velocità massima che un corpo può raggiungere è limitata e tale velocità è quella della luce; che quando si raggiungono velocità prossime a quella della luce accadono strani fenomeni come la dilatazione dei tempi o la contrazione delle lunghezze; la massa e l’energia risultano interscambiabili secondo la famosa formula E=mc2. Questa è la relatività ristretta, in maniera molto semplificata.

Einstein descrisse l’effetto fotoelettrico, cioè l’emissione di elettroni da parte di un metallo soggetto a certe frequenze della luce. Quello, cioè, che succede quando un metallo viene sottoposto alla radiazione elettromagnetica. Determinate frequenze della luce, colpendo una superficie metallica, ne provocano l’emissione di elettroni. Per spiegare il fenomeno, Einstein suppose che la luce fosse effettivamente formata da pacchetti discreti, i quanti di luce, chiamati successivamente fotoni. Einstein comprese che per fare sì che avvenga l’emissione di un elettrone da un metallo, il fotone deve possedere un’energia sufficiente a rompere il legame elettrico che tiene legato l’elettrone all’atomo. Questo valore minimo di energia viene determinato grazie alla stessa semplice equazione E=hv, la legge di Planck.

Einstein spiegò matematicamente il cosiddetto moto browniano, cioè il moto disordinato di particelle sospese in un fluido. Robert Brown era un botanico che, osservando al microscopio granelli di polline sospesi in acqua, notò che non stavano fermi ma saltellavano. Nel suo articolo intitolato “Sul movimento di piccole particelle sospese in un liquido stazionario secondo la teoria cinetica molecolare del calore”, Einstein affermò che il polline si muove perché colpito dalle molecole dell’acqua che lo circondano e che sono in continuo movimento per agitazione termica. Le ipotesi di Einstein sul moto browniano vennero dimostrate sperimentalmente, nel 1908, dal fisico Jean-Baptiste Perrin. Ciò rese evidente che gli atomi e le molecole esistono.

Sempre nel 1905, il chimico tedesco Walther Nernst sviluppò il terzo principio della termodinamica stabilendo non fosse possibile raggiungere lo zero assoluto con un numero finito di trasformazioni termodinamiche. Di recente, nel 2013, alcuni ricercatori sono riusciti apparentemente ad oltrepassare il limite dello zero assoluto. Nel 1911 il fisico olandese Heike Kamerlingh Onnes scoprì lo strano fenomeno della superconduttività, alla base della levitazione magnetica. I superconduttori non presentano resistenza al passaggio di corrente elettrica e hanno la capacità di dare luogo al fenomeno di levitazione magnetica grazie al cosiddetto effetto Meissner-Ochsenfeld su cui si basano i velocissimi treni Maglev in grado di raggiungere fino a 581 chilometri orari. Sempre nel 1911 Ernest Rutherford, ideò il suo modello atomico, in cui vi è un nucleo attorno al quale girano gli elettroni – scoperti nel 1897 da Joseph John Thomson – come i pianeti intorno al Sole. Nel 1913 Niels Bohr elaborò un modello atomico più complesso e soprattutto basato sulla teoria dei quanti.

Nel 1915 Einstein offrì una prima versione della relatività generale che descrive la curvatura dello spazio-tempo per effetto delle masse. Ad esempio il Sole, grazie alla sua massa, curva lo spazio-tempo e ciò attiva il meccanismo di rotazione dei pianeti intorno ad esso. La gravità diventa, dunque, equivalente alla curvatura dello spazio-tempo e la conseguenza estrema di questo concetto sono i buchi neri. Negli anni Venti del secolo scorso, la meccanica quantistica si sviluppò in maniera incisiva. Tra i molti sviluppi, il dualismo onda-corpuscolo della luce e di tutte le particelle elementari, il principio di esclusione di Wolfgang Pauli inerente lo spin dei fermioni (elettroni, protoni, neutroni eccetera), l’equazione d’onda di Erwing Schrodinger, il principio di indeterminazione di Werner Karl Heisenberg, il principio di complementarità.

Nel 1928 Paul Dirac pubblicò una elegante equazione in grado di unificare la meccanica quantistica e la relatività ristretta. Tra le incredibili conseguenze dell’equazione di Dirac c’era anche l’esistenza dell’antimateria. Una particella di antimateria presenta la medesima massa della corrispettiva particella di materia, ma carica elettrica opposta. Quando materia ed antimateria si scontrano si verifica la cosiddetta “annichilazione” che comporta la formazione di energia pura (i fotoni).

L’ipotesi teorica dell’antimateria venne confermata sperimentalmente, nel 1932, dal fisico Carl Anderson, che scoprì il positrone, ossia l’antielettrone. Sempre nel 1932, James Chadwick scoprì nientemeno che il neutrone. Intanto nel 1929 Edwin Hubble aveva scoperto che le galassie si stanno progressivamente allontanando le une dalle altre. Se le galassie si allontanano vuole dire che, riavvolgendo il nastro dell’universo, all’inizio ci deve essere stato un punto in cui tutto l’universo risulta concentrato: è la teoria del Big Bang.

Nel 1935 Erwin Schrodinger ideò il noto esperimento – il paradosso – del gatto simultaneamente vivo e morto nella scatola. Fece notare, con il paradosso del gatto vivo e allo stesso tempo morto, un aspetto problematico della meccanica quantistica derivante dal principio di sovrapposizione. Se si afferma, cioè, che un sistema possa trovarsi in due stati distinti, può trovarsi anche in una qualsiasi loro combinazione lineare; se però si esegue un’osservazione del sistema, questo viene indotto ad assumere uno stato determinato. Questo principio ed il concetto di entanglement avrebbero avuto quindi, secondo Schrodinger, conseguenze potenzialmente paradossali.

Nel 1942 Enrico Fermi realizzò a Chicago il primo reattore a fissione nucleare: la “pila”. Produsse una reazione nucleare a catena controllata sfruttando l’uranio. Fermi si basò sulle ricerche risalenti al 1939 dei fisici Lisa Meitner e Otto Frisch che, per primi, avevano mostrato il fenomeno della fissione nucleare, ovvero la scissione in nuclei più piccoli di un nucleo radioattivo – come appunto quello di uranio – con conseguente liberazione di elevate quantità di energia.

Il lavoro pionieristico di Fred Hoyle sulla nucleosintesi stellare, ossia il processo di formazione di nuclei atomici pesanti all’interno delle stelle, risale al 1946. La nucleosintesi stellare è il processo che ha portato, a seguito del Big Bang, alla formazione di nuclei atomici più pesanti dell’idrogeno e dell’elio per mezzo delle stesse. Sempre negli anni Quaranta del secolo scorso, Richard Feynman, insieme a Shin’ichirō Tomonaga, Julian Schwinger e Freeman Dyson sviluppò la elettrodinamica quantistica, la teoria quantistica del campo elettromagnetico.

Nel 1948 la mente di Feynman partorì gli omonimi diagrammi rappresentanti le interazioni tra le particelle. Questi diagrammi forniscono una semplice ed efficace visualizzazione di come le particelle nascono, passano la propria vita e muoiono. Nel 1956 Frederick Reines e Clyde Cowan scoprirono i neutrini, “particelle fantasma “la cui esistenza fu teorizzata da Pauli nel 1930. Pauli ipotizzó l’esistenza dei neutrini per spiegare la perdita di energia durante alcune forme di decadimento radioattivo. Nel 1960 il fisico e ingegnere Theodore Harold Maiman realizzò il primissimo laser, acronimo di Light amplification by stimulated emission of radiation. Senza il laser, oggi, non potremmo ascoltare cd, vedere film in dvd, stampare un documento, operare medicalmente eccetera.

Nel 1961 Sheldon Lee Glashow aprì la strada alla rigorosa teoria delle interazioni elettrodeboli, unificando tra loro due delle forze fondamentali della natura: l’interazione elettromagnetica e quella nucleare debole. Tale unificazione fu poi alla base della teoria fisica nota come Modello standard che descrive tre delle quattro interazioni fondamentali: elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole. Furono così scoperte tutte quelle particelle la cui descrizione rientra nel Modello Standard.

Nel 1964 Murray Gell-Mann ipotizzò l’esistenza dei quark, particelle elementari che costituiscono, tra le altre cose, i protoni ed i neutroni. Un protone è formato da due quark di tipo up e uno di tipo down, mentre il neutrone da due quark down e uno up. Viene a delinearsi così un vero e proprio “zoo” di particelle, rientranti nel cosiddetto Modello standard. Nel 1995 furono creati in laboratorio i condensati di Bose-Einstein rappresentanti il “quinto stato della materia”. Un condensato di Bose-Einstein è uno stato della materia di un gas molto freddo composto da particolari particelle chiamate bosoni. Il termine “bosone” fu coniato da Paul Dirac per rendere omaggio a Bose e al suo poderoso contributo nello sviluppo, insieme ad Einstein, della cosiddetta statistica o distribuzione di Bose- Einstein. Dirac coniò anche un altro termine: “fermione” in onore di Enrico Fermi.

Il fermione è una particella con una certa caratteristica differente da quella di un bosone, lo spin, che letteralmente significa “giro vorticoso”. Lo spin indica la rotazione di una particella intorno al proprio asse, cosiddetto momento angolare di spin. È una direzione, un verso e una certa lunghezza. La differenza tra fermioni e bosoni risiede proprio nel parametro dello spin, che è definito e non può essere alterato.

Esempi di fermioni sono gli elettroni, i quark, e i neutrini; esempio di bosone è invece il fotone che possiede uno spin pari a 1. Il condensato di Bose-Einstein è uno stato della materia che si raggiunge a temperature estremamente fredde. In tali condizioni di grande raffreddamento, una frazione di bosoni si porta nello stato quantistico di minima energia e gli effetti quantistici diventano evidenti anche su scala macroscopica. Tra questi effetti ci sono la superconduttività, la super fluidità e la capacità di ridurre drasticamente la velocità della luce che lo attraversa. Questi incredibili condensati furono creati in laboratorio nel 1995 dai fisici Eric Cornell e Carl Wieman che usarono un gas di atomi di rubidio -87 raffreddato fino quasi lo zero assoluto. La luce rallenta quando attraversa il condensato.

Il 10 settembre 2008 è stato attivato per la prima volta l’Lhc – Large hadron collider – l’acceleratore di particelle più grande e potente mai costruito. Questo acceleratore accelera protoni e ioni pesanti fino al 99,9999991 per cento della velocità della luce e li fa scontrare raggiungendo un’energia nel centro di massa di 14 teraelettronvolt. Si tratta di livelli di energia mai raggiunti in laboratorio.

Il 6 marzo 2013 il Cern (Conseil europeen pour la recherche nucleaire) ha annunciato ufficialmente di avere trovato, mediante l’Lhc, il bosone di Higgs, particella teorizzata da Peter Higgs nel 1964 responsabile, tramite il campo da essa mediato, della massa di tutte le altre particelle elementari. Il bosone di Higgs, detto anche “particella di Dio” (in realtà era “particella dannata” ma per un errore di stampa si divulgò “di Dio”) è la particella che, tramite il campo di forze da essa mediato, conferisce massa alle particelle elementari.

La scoperta è fondamentale dato che se non esistesse il campo di Higgs, l’universo sarebbe fatto di particelle senza massa in moto alla velocità della luce.

Attraverso la presenza del campo – di Higgs – nello spazio vuoto, è possibile spiegare l’origine della massa di tutte le particelle elementari del Modello standard. Finalmente cioè le diverse masse si spiegano con la differente intensità della loro interazione con il campo di Higgs. Per capire si utilizza comunemente un’analogia per rappresentare la diversa interazione delle particelle elementari con il campo di Higgs, e quindi l’origine delle loro masse. Si immaginano palline di diversa grandezza e velocità le quali attraversano un fluido molto viscoso, come della melassa. Il fluido si appicca in modo diverso alle varie palline, rallentandole in misura maggiore o minore. Senza massa, le particelle vagherebbero nel vuoto alla velocità della luce.

Aggiornato il 31 marzo 2021 alle ore 11:20