«Bisogna chiedersi perché tantissimi di quelli che nel 1994 hanno votato Forza Italia l'anno prossimo avranno seri problemi a barrare il simbolo del Popolo della Libertà». Questo l'assunto da cui parte il ragionamento di Deborah Bergamini. Che nel movimento di Silvio Berlusconi è approdata nel 1999, per poi diventarne deputato. «Non posso parlare delle "nostre" idee quando mi riferisco alla discesa in campo. Ma io mi sono avvicinata agli azzurri proprio per la forza trascinante di quei temi».
Tra cui c'era una forte spinta presidenziale e una netta
preferenza uninominale.
Chiamatela insofferenza, o piuttosto spaesamento. Ma è
evidente un certo disagio di una parte del partito nei confronti
dell'accordo sulle riforme e sulla legge elettorale che sta
maturando.
Dovuto a cosa?
Se c'è stato un risultato incontrovertibile nell'era
segnata dalla nascita di Forza Italia è stato lo stabilizzarsi del
bipolarismo. Prima dell'arrivo di Berlusconi ci si lamentava dei
bizantinismi della politica, l'opinione pubblica soffriva i
meccanismi spesso poco comprensibili. Questo è un risultato che va
difeso e mantenuto.
Generalmente chi tratta per il Pdl afferma che il
modello proporzionale ispano-tedesco tutelerà il bipolarismo.
Su questo c'è un dibattito molto serrato all'interno del
partito.
Sono in molti quelli che spingerebbero per un ritorno ai
temi originari di Fi?
Non parlerei di ritorno. Quelle idee sono ancora
attualissime, quella spinta ideale non si è mai persa e oggi ce n'è
bisogno più che mai.
Sta parlando della rivoluzione liberale?
Sto parlando dell'idea di costruire lo stato partendo
dalle idee che sono alla base del liberalismo. La rivoluzione
liberale non è mai avvenuta, bisogna prenderne atto. Anzi, negli
anni si è andato costruendo un rapporto insano fra stato e
individuo.
In che senso insano?
Le pare possibile che oggi i reati contro la persona
siano percepiti come meno gravi rispetto a quelli contro la cosa
pubblica? Ci stiamo lentamente e pericolosamente trasformando in un
popolo di delatori e di invidiosi sociali.
Pensa ad Equitalia?
Dico che la salvaguardia del bene pubblico non può
diventare un giogo per il privato, arrivando in alcuni casi a
schiacciare la dignità del cittadino. Occorre capire la portata
globale dei fenomeni che stiamo vivendo, il progressivo
sbilanciamento nel rapporto tra lo stato e i singoli individui.
Quindi ha ragione chi invoca la costituzione di un nuovo
soggetto politico liberale?
A me non interessa che fanno gli altri partiti, io guardo
a quello che accade nel Pdl. Certo, la svolta liberale rimane un
grandissimo auspicio. E può avverarsi solamente se il Pdl fa
propria la linea di grande coraggio umano e politico impostata in
questi mesi dal suo segretario, Angelino Alfano. Il suo è un
tentativo di imprimere di un nuovo senso il partito. Sta
dimostrando un grande coraggio nel cambiamento.
Quell'Alfano che in tanti accusano di utilizzare metodi
da post-democristiano?
Non mi sembra che i metodi, ma soprattutto i contenuti,
di Alfano siano accostabili a quelli della politica democristiana.
Bisogna considerare che si è dovuto far carico del partito in un
momento nel quale la caduta del governo Berlusconi ha tracciato una
linea fra un prima e un dopo nella storia della repubblica,
coincidendo con l'implosione del sistema dei partiti. In tutto
questo periodo ha profuso un grande dispendio di visione e di
azione politica.
Forse è mancato un po' di coraggio nel non lanciare con
forza il meccanismo delle primarie?
Probabilmente è vero. Sono una grande sostenitrice delle
primarie, le ritengo utilissime. A patto che non diventino uno
strumento demagogico. O ridicolo, come si è dimostrato in diversi
casi nel centrosinistra.
Anche per la candidatura alla premiership?
Perché no?
Invece si è preferita la strada dei congressi.
Sono stati un modo per riportare il dibattito sul
territorio. Siamo stati a lungo una forza di governo, era
importante riannodare e stringere determinati fili, e in questo le
assise congressuali sono state un'occasione di apertura. Io poi ho
una mia idea precisa di partito, dove i congressi non ci sono. Un
modello che si richiami a quello dei grandi partiti statunitensi,
con primarie aperte e grande attenzione alla società civile.
È anche a seguito delle divisioni nate dai congressi che
l'ex presidente della regione Veneto, Giancarlo Galan, ha chiesto
un ritorno alle origini: Forza Italia da una parte, Alleanza
Nazionale dall'altra.
Capisco Galan. È tra coloro che hanno costruito Fi, e
l'hanno portato alla guida del paese. La sua è una passione e una
preoccupazione legittima. Se l'ex governatore vuole esprimere il
suo parere su come dovrebbe delinearsi il centrodestra del
futuro, ha tutto il diritto di farlo. Concordo quando dice che nel
Pdl si dovrebbe affrontare la questione della classe dirigente. C'è
un profondo problema di ricambio generazionale che non può rimanere
inevaso. Ma questo non lo dice solo lui. Per quanto riguarda la
strada che lui traccia, non mi sento di condividerla. Il Pdl è una
risorsa, dobbiamo lottare perché cresca e maturi.
In che modo?
Non perdendo mai il timone sui temi. Al di là degli
equilibri, sono quelli a determinare la proposta politica di un
partito.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:55