Hollande o no, Monti sta con la Merkel

sabato 28 aprile 2012


Mario Monti non unirà le sue forze a quelle di Hollande (nel caso uscisse vincitore dal ballottaggio del 6 maggio per l'Eliseo) e a quelle di Madrid (in grave ritardo con i suoi obiettivi di bilancio) allo scopo di «piegare il rigorismo tedesco», come molti in Italia si aspettano. Il premier italiano sta giocando una partita diversa per mantenere alta la sua considerazione europea. 

La fine di "Merkozy", per la probabile uscita di scena del presidente francese, offre all'Italia un'occasione di "centralità". Le istanze italiane potranno ricevere maggiore attenzione a Berlino nel momento in cui la Merkel avrà bisogno di nuovi alleati per contrastare l'attacco di Hollande all'impalcatura rigorista. Le parole di Monti lo confermano: «Stiamo lavorando a stretto contatto con il governo tedesco e stiamo elaborando varie ipotesi». Ma perché l'Italia riceva ascolto deve rassicurare Berlino che sui fondamentali è pronta a "stoppare" Hollande: nessuna revisione del fiscal compact e nessun ritorno alle politiche di spesa in deficit.

Ciò a cui realisticamente punta il nostro premier quindi è molto lontano dalle speranze (o le illusioni) dei partiti che lo sostengono, i quali per un motivo o per l'altro tifano Hollande. Pd e Pdl li hanno scritti nero su bianco, sulla risoluzione che accompagna il Def, i loro sogni, ma forme di condivisione del debito come gli Eurobond e il ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza (come la Fed) non sono all'ordine del giorno. L'azione di Monti viene per lo più fraintesa anche dalla stampa italiana: l'obiettivo non è «piegare il rigorismo tedesco», ma affiancare ad esso azioni per la crescita. 

Sul lato delle riforme Monti preme per un suo vecchio cavallo di battaglia: «Sviluppare ulteriormente il mercato unico» e «rafforzare l'applicazione delle sue regole». Un obiettivo che lo pone in rotta di collisione con la Francia di Hollande. Su questo terreno l'Italia, pur soffrendo ancora di troppi vincoli corporativi, è più avanti dei francesi. Sul lato della domanda si tratta di favorire «investimenti mirati», escludendo però il ricorso a ulteriore indebitamento. In concreto, le ipotesi sarebbero a livello europeo il lancio di "project-bond" per le infrastrutture, a livello nazionale lo scorporo almeno in parte della spesa per investimenti dal fiscal compact. Su questo piano la sensazione è che un compromesso con Berlino sia possibile, anche perché la Merkel sembra aver compreso che per contenere Hollande le servono nuovi alleati e un'intesa di massima sulla crescita.

Monti quindi punta ad una "fase 2" in chiave europea piuttosto che italiana. Convinto di aver fatto i "compiti a casa", si aspetta dall'Ue qualcosa per rilanciare la crescita. In parte perché ha capito che in Italia non c'è spazio per le riforme «più ambiziose» che continua a chiedere Draghi; in parte perché non è mai stata volontà sua e del suo governo avviare l'unico vero cambiamento di paradigma che potrebbe rilanciare la nostra economia, e cioè un taglio della spesa pubblica e delle tasse di 5/6 punti di Pil.

Essendo modesto l'impatto delle riforme varate, e per scelta preclusa la possibilità di ridurre il peso dello Stato sull'economia, per Monti la "fase 2" significa percorrere la via europea alla crescita, fatta di investimenti e, possibilmente, rendimenti minori sui titoli di Stato, a fronte di piccoli aggiustamenti in patria. Nonostante le importanti differenze tra Merkel, Monti e Draghi, per diversità di ruoli e di interessi nazionali, la ricetta di Hollande resta diametralmente opposta alla loro.


di Federico Punzi