Quando Orlando accusava Falcone

Sembra uno strano gioco del destino che a vent'anni dalla morte del giudice Giovanni Falcone, trucidato dalla mafia il 23 maggio del 1992, Leoluca Orlando corra per la quarta volta  alla poltrona di sindaco di Palermo. Già, una strana coincidenza della vita che riporta alla memoria il durissimo e infamante  attacco che il candidato a Palazzo delle Aquile rivolse a Falcone, accusandolo di «tenere chiusi nei cassetti» dei documenti riguardanti i delitti eccellenti di mafia.

Un atto di accusa pesantissimo che Orlando, fedele al suo ruolo di paladino dell'antimafia, lanciò nel maggio del 1990 dagli studi di Samarcanda, ospite di Michele Santoro. «La cultura del sospetto è l'anticamera della verità», diceva  padre Ennio Pintacuda, guida spirituale e politica dell'ex sindaco. Un adagio che Orlando userà ripetutamente e indistintamente per demolire tutti i suoi avversari.

Non fu una polemica verbale e televisiva. Orlando insieme ad Alfredo Galasso e Carmine Mancuso, allora esponenti de La Rete, il movimento politico-giustizialista creato proprio da Orlando, fecero un esposto al Csm a carico di Falcone, sostenendo che lui nascondesse delle prove sui rapporti tra mafia e politica.

Accuse false e  ingenerose nei confronti di un uomo che era il grande e concreto avversario della mafia, che non faceva antimafia a parole. Falcone fu costretto a difendersi davanti al Csm (che archiviò il caso) e con molta fermezza rispose ad Orlando invitandolo a fare  nomi e cognomi, a citare fatti, o altrimenti a tacere. Aggiungendo che «la cultura del sospetto è l'anticamera del khomeinismo». Una vicenda che  amareggiò e fece soffrire moltissimo Falcone che, dopo non molto tempo, accettò l'incarico, offerto dall'allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli, di dirigente dell'ufficio affari Penali a Roma.

Sono anni difficilissimi a Palermo. Sono gli anni dei veleni al Tribunale del capoluogo siciliano e delle lettere del "corvo". Le accuse dell'inquisitore Orlando risalgono al 1989, quando Falcone incriminò  il "pentito" catanese Giovanni Pellegriti che indicava Salvo Lima come  il mandante del delitto di Piersanti Mattarella. Falcone aveva ben indagato e stanò il falso collaboratore di giustizia, provocando l'ira di Orlando convinto che il giudice volesse proteggere Lima, uomo di punta di Andreotti in Sicilia e anche lui nel mirino della santa inquisizione orlandiana.

Ma le accuse del "pentito" si rivelarono calunniose così come le dichiarazioni di Orlando nei confronti di Falcone.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:19