Se Montezemolo rifonda Forza Italia

giovedì 24 maggio 2012


Evaporazione, disfatta, o semplice sconfitta del Pdl e della Lega alle amministrative, ci sono pochi dubbi sul fatto che si è aperta un'immensa prateria per una nuova offerta politica rivolta agli elettori di centrodestra, che molti si ostinano a chiamare "moderati", mentre sono piuttosto incazzati, oltre che smarriti e disgregati, e nonostante serva tutto fuorché "moderazione" per affrontare la decennale crisi italiana. Il forte astensionismo e il voto di Parma ci dicono che si sono rifiutati di consegnarsi al "nemico" e che sono lì sornioni, come nel '93-'94, pronti a riaggregarsi intorno ad una nuova proposta e ad una leadership più credibile, per impedire che l'Italia cada nelle mani della sinistra di Vasto. Ma quale? Un Pdl che indica nel suo appoggio al governo Monti la radice dei propri guai, o che rincorre le ricette anti-crisi di Hollande e Krugman, è un Pdl che non ha ancora capito dove ha sbagliato.

È dunque il momento di Luca Cordero di Montezemolo? Per lungo tempo l'hanno corteggiato Casini e Fini, che in lui vedevano il valore aggiunto per far decollare l'opa neocentrista sul centrodestra. Berlusconi e il Pdl, infastiditi dalle sue uscite quando erano al governo, adesso guardano al presidente della Ferrari come al possibile nuovo "federatore" dei "moderati", l'unico salvatore della baracca. Insomma, i vecchi ceti politici di centrodestra sembrano pronti a fare i suoi scudieri pur di non essere spazzati via. Ma Montezemolo ha sempre puntualmente smentito contatti e trattative. E con una lettera al Corriere ha chiarito ciò che era nell'aria: potrebbe anche scendere in campo nel 2013 (stucchevole il condizionale), ma non cerca né "accompagnatori" né scudieri: «Non siamo interessati ad alleanze gattopardesche né a fare da paravento ad operazioni di finto rinnovamento». Totale chiusura, o piuttosto l'apertura di una trattativa alle sue condizioni? Alla seconda ipotesi farebbe pensare la sua conclusione («lavoriamo per aprire un cantiere progettuale di tutte le forze sociali, culturali e politiche che si riconoscono nella stessa visione ideale«), e laddove avverte che «in assenza di un progetto credibile  che sappia unire tutte le forze riformiste, milioni di italiani e una porzione significativa delle migliori energie del Paese rimarranno senza rappresentanza».

Molto dipenderà dalla legge elettorale ma in questa fase Montezemolo non vuole farsi impantanare in sterili dibattiti su contenitori, alleanze e leadership. Preferisce lavorare al "software", ai contenuti della sua avventura politica. Fondamentale capire quale sarà il vero programma al di là dei proclami: si tratta di federare i "moderati", o di liberare finalmente l'Italia dallo statalismo? Per il berlusconismo lo slittamento della mission dalla "rivoluzione liberale" all'unità dei "moderati" è stato la tomba dell'una e dell'altra. È significativo quindi che Montezemolo non usi mai il termine "moderati", ma piuttosto evochi un'alleanza dei «produttori», e che il «campo ideale» da lui descritto somigli a quello della Forza Italia del 1994: «Ridurre la pressione fiscale tagliando la spesa pubblica è la priorità fondamentale, la prima condizione per qualsiasi credibile progetto per l'Italia». E ancora: lo Stato deve «ridurre radicalmente il perimetro della propria presenza, dismettendo e tagliando tutto ciò che non rientra nelle sue funzioni fondamentali, per consentire all'iniziativa individuale di rimettere in moto il Paese». Le proposte di recente lanciate tramite editoriali-manifesto sul sito di "Italia Futura" ricalcano quelle sdoganate da FI: approccio liberal-liberista, antistatalista in economia; presidenzialista e maggioritario sul piano politico-istituzionale. Un pizzico di orgoglio nazionale e polemica anti-partiti e la ricetta sembra pronta.

Anche nell'"hardware" sono molte le somiglianze (leader carismatico, struttura aziendale, manager e imprenditori, intellettuali e think tank liberali, come "noiseFromAmeriKa" e Istituto Bruno Leoni) Insomma, i montezemoliani sembrano voler raccogliere la bandiera della "rivoluzione liberale" che fu di Forza Italia e che da anni il Pdl ha abbandonato sul campo di battaglia e non sembra in grado di ritrovare.


di Federico Punzi