I troppi sassolini nelle scarpe di Telese

Avrebbe dovuto essere la sorpresa editoriale della settimana, non fosse stato per uno "scoop" birichino del Messaggero, con indiscrezioni in anteprima che hanno indispettito non poco il protagonista della vicenda. Di chi si parla? Di Luca Telese, cofondatore con Marco Travaglio e Antonio Padellaro de Il Fatto Quotidiano, volto noto di La7, firma di primo piano dell'unico (forse) giornale nazionale in grado di sopravvivere di sole vendite e, ora, deciso ad abbandonare la sua creatura cartacea per fondarne un'altra: si chiamerà Pubblico, e approderà in edicola a settembre. Al prezzo tutt'altro che modico di un euro e cinquanta centesimi. Ma, come dice Telese, «il coraggio si paga».

Non si tratta di un commiato felice. Tutt'altro. Dalle parole di Telese trasudano infatti una punta di rimpianto e molta insofferenza per un giornale nato espressamente per fare la guerra a Berlusconi, idolatrato e letto da chi l'odio inveterato per il Cavaliere l'avrebbe persino messo tra i segni particolari sulla propria carta d'identità, ma che nel momento cruciale in cui Berlusconi ha sventolato bandiera bianca non è stato capace di scrollarsi di dosso la vocazione di bollettino delle procure e censore dei costumi (sempre quelli altrui, beninteso).

«La mission di quel giornale si è esaurita» confessava ieri al Corriere della Sera. «Non è passato dalla protesta alla proposta. Quando il governo Berlusconi è caduto, ci siamo chiesti: ora cosa dobbiamo cambiare? Travaglio ha detto: nulla. Io ho risposto: tutto. Ecco perché vado via. Perché non puoi continuare, a guerra finita, a mozzare le teste di cadaveri sul campo. Non puoi solo demolire. È il momento di costruire». Costruire che cosa? Un «piccolo "centro studi" del cambiamento e della costruzione delle idee». Quali e quante lo si capirà solo a settembre. 

Per il momento si sa solo che il nuovo foglio raduna attorno a sé una redazione di giovani e agguerriti giornalisti, tra cui alcuni frondisti del Fatto "fedeli" alla linea telesina, qualche transfugo proveniente da l'Unità, Liberazione e il fu Riformista, come nel caso di Tommaso Labate, e azionisti "di grido" come la cantante Fiorella Mannoia. L'intento annunciato è quello di replicare le fortune del Fatto, sbancando il botteghino prima ancora di andare in stampa e garantendosi così uno zoccolo duro di lettori in grado sin da subito di traghettare la nuova avventura editoriale oltre i marosi che in questo periodo stanno sferzando un po' tutta la stampa cartacea.

Ma, tra una riga e l'altra della confessione corserista di Telese, si legge soprattutto il desiderio di giocare un bel tiro mancino agli ormai ex amici. Non tanto a Padellaro, che viene descritto, giornalisticamente parlando, come un padre buono, onesto e leale. Piuttosto alla pizia Travaglio, la cui oltranzistica sicumera nel perseverare sulla linea del massacro sistematico degli avversari, fossero anche solo quelli interni alla vecchia redazione, viene additata come principale causa del divorzio. Si dice sempre che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Di qui a settembre, Telese e i suoi hanno certamente tutto il tempo per imbastire un intero menù. Buon appetito ai lettori.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:52