I sindacati fanno spallucce sul privato

martedì 3 luglio 2012


Facce scure, contrariate e slogan belli e pronti per le agenzie di stampa. Così si presenteranno stamani i quattro leader sindacali al tavolo convocato dal governo per un confronto sulla spending review, il cui decreto è quasi pronto per il varo in Consiglio dei ministri. Nulla da stupirsi. Semmai, tutto da sorridere. Almeno a giudicare dalle mani in avanti messe, non solo dai leader confederali ma da tutti i soggetti coinvolti, alla parola “tagli”.

Nel provvedimento preparato dai tecnici della Ragioneria dello Stato e dei due ministeri del Tesoro e della Funzione pubblica, infatti, non ci sarà traccia di tagli lineari imposti dalle manovre tremontiane, ma una revisione ben più articolata e chirurgica della spesa pubblica. Nel dettaglio, nel “decretone” si possono individuare quattro marcoaree di intervento: centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, riduzione e riorganizzazione di Province e Città metropolitane, “stretta” sulla governance delle spa controllate e un piano di esuberi per i dirigenti del pubblico impiego. Se i fronti però sono ormai ben chiari, non è chiaro di che entità saranno i risparmi.

Il nodo da sciogliere in queste ore è di natura politica e dipenderà proprio dall’atteggiamento dei sindacati: Mario Monti dovrà decidere se limitarsi a un modesto taglio da 5-6 miliardi entro il 2012 (che coincide all’incirca con i piani di Bondi) per poi rimandare la seconda manovra in autunno, oppure varare subito un decreto pesante, da 10 miliardi circa, che comprenda subito gli esuberi sul pubblico impiego. Il condizionale, ancora per tutta questa settimana, è d’obbligo. «Siamo pronti allo sciopero generale», ha tuonato il leader della Cisl Raffaelle Bonanni. Dello stesso tono gli altolà di Susanna Camusso e Luigi Angeletti. Due sono le incongruenze che emergono dalla levata di scudi: in primis, secondo le stime del Corriere della sera, il taglio più consistente riguarderebbe i dirigenti di prima e seconda fascia (circa il 20% di quelli attuali) che «verrebbero accompagnati alla pensione con il ricorso alla mobilità o con una proroga della riforma della Fornero», ossia ricorrendo ai vecchi requisiti pensionistici. Mentre sui circa 10mila dipendenti pubblici, non dirigenti, che con la spending review sarebbero a rischio mobilità per il 2012, è impressionante la diversità di toni utilizzati dai sindacati per la perdita di posti di lavoro nel settore privato: secondo Unioncamere, solo quest’anno la crisi porterà alla perdita di 120mila unità.

Non si ricordano gli stessi allarmi e le stesse avvisaglie di mobilitazione come quelle usate per il pubblico impiego. Risulta ovvio l’atteggiamento dei tre leader confederali solo se si tiene conto della quota di dipendenti pubblici iscritti alle tre sigle, in rapporto al totale degli iscritti. Un’organizzazione come la Cgil, ad esempio, su 5,7 milioni di iscritti oltre il 7% sono dipendenti pubblici (412mila su 5,7 milioni). Ovvio che l’interesse primario davanti al tavolo sarà porre un veto su questa seconda parte di manovra. Un braccio di ferro che rischierebbe di tenere in stallo l’agenda di Monti e di conseguenza far ripiombare nel baratro l’Italia di fronte ai mercati e con i partner europei.


di Beniamino Costante